domenica 16 ottobre 2011

L'illusione che sia...utopia, la "ricetta" degli "indignati"

Nell'articolo in prima pagina di "La Repubblica" del 16 ottobre dal titolo "Lo Stato sconfitto da un pugno di teppisti" (vedi qui), Eugenio Scalfari tratta il tema degli scontri di ieri a Roma, e sviluppa poi la discussione sul movimento degli "indignados". Scalfari sostiene che il movimento non è "effimero" in quanto, dice testualmente "... esprime la rabbia di una generazione senza futuro e senza più fiducia nelle istituzioni tradizionali, quelle politiche ma soprattutto quelle finanziarie".

Fatta questa constatazione totalmente condivisibile, si addentra poi in una serie di considerazioni, meno condivisibili a mio giudizio, sulla presunta genericità degli obiettivi del movimento, sottolineando che le "soluzioni" proposte per superare questa crisi sono, essenzialmente, pura utopia. Scrive, testualmente: " ...c'è una dose massiccia di utopia in questo modo di pensare; c'è una evidente reminescenza di comunismo utopico; c'è anche una tonalità francescana...ed un contagio di populismo...il populismo degli utopisti che predicono la Città del Sole. Ma non esistono Città del Sole, almeno in questa terra". Parole forti, non c'è che dire. In sostanza il concetto è: si, avete ragione a protestare, pero' le soluzioni che proponete non si possono fare. Cosa dite ? Volete abbassare il potere delle banche, porre qualche regola alla finanza, ri-nazionalizzare qualche cosa (ad esempio, dico io, le banche centrali stesse !) ? Suvvia, non siamo mica nella città del Sole, ragazzi, queste sono cose da...professionisti.

Allora a me che sono dispettoso ed irriverente viene da chiedere chi siano mai questi professionisti. Vorrei sperare che non siano i grandi finanzieri, dal momento che sono stati loro la causa prima di questa crisi. Potrei allora sperare che sia la politica, ovviamente, ma ahimè questa politica non mi sembra stia dando delle risposte razionali. O perchè non sa come fare, o perchè non vuole fare quello che forse dovrebbe.
Quello che vedo è che il reddito resta diviso in maniera troppo diseguale nel mondo, la forbice tra ricchi e poveri sta crescendo, i disoccupati crescono, soprattutto i giovani non hanno, a differenza dei loro padri, speranze per il loro futuro. E la gente si arrabbia.

In Italia come siamo messi, ad esempio, ad occupazione ? E' presto detto: la disoccupazione giovanile in Italia è ai massimi storici. La Confartigianato (guarda qui) nell'agosto di quest'anno ha lanciato un allarme tragico: l'Italia detiene il record negativo in Europa della disoccupazione giovanile. Ci sono più di 1 milione di giovani sotto i 35 anni senza lavoro ! Il tasso dei disoccupati per i ragazzi al di sotto dei 24 anni è del 29,6%, cioè 1 su 3 è senza lavoro. La media europea, che pure è altissima, è del 21%.

Guardiamo un attimo cosa accade fuori da Eurolandia. In un recente editoriale del New York Times, riportato sull'ultimo numero della rivista Internazionale, si legge che nell'ultimo anno il tasso medio di disoccupazione tra i laureati statunitensi sotto i 25 anni è stato del 9,6% e quello dei diplomati è del 21,6%. E le percentuali non tengono conto dei laureati che sono sottopagati e hanno un lavoro che non richiede qualifiche. I ragazzi di "Occupy Wall Street" sostengono che il settore finanziario si è gonfiato con una bolla di credito che è costata il posto di lavoro, la casa e i risparmi a milioni di statunitensi. Si legge, testualmente, nell'editoriale: "la rabbia è aumentata con i salvataggi delle banche e dalla "fame di denaro" dei politici che si sono rivolti a Wall Street per finanziare le loro campagne elettorali" . Negli Stati Uniti la fetta di reddito nelle mani dell'1% dei più ricchi è del 23,5%, la più alta dal lontano 1928, e l'aumento di tale percentuale è avvenuto in gran parte dagli anni '70 ad oggi.
La cosa che fa arrabbiare molto gli indignati americani è che negli ultimi anni gli utili delle aziende abbiano raggiunto il livello più alto come percentuale del PIL dal 1950 mentre, contemporaneamente, i salari dei lavoratori sono scesi al livello più basso dalla metà degli anni '50.

E allora gli indignati americani vogliono cambiare il modello di sviluppo, essenzialmente depotenziando lo strapotere della finanza che, come abbiamo detto anche in questo blog, appare essere la reale prima causa della crisi globale.

Anche in USA, evidentemente esiste qualche dubbio sulla reale capacità dei questi giovani ad poter incidere realmente. Cosa rispondono ai dubbi ?
Il filosofo sloveno Slavoj Zizek, autore del libro "Vivere alla fine dei tempi" ha fatto un discorso ai manifestanti di "Occupy Wall Street" e ha detto loro (cito testualmente, e mi sembra il miglior commento da girare all'editoriale di Scalfari...): "...vi diranno che state sognando, ma i sognatori credono che le cose possano andare avanti all'infinito così come sono e si accontentano di qualche ritocco. Noi non siamo sognatori, siamo al risveglio di un sogno che si sta trasformando in un incubo...Ma il cambiamento è possibile ? Oggi il possibile e l'impossibile sono distribuiti in modo strano. Nel campo delle libertà personali, della scienza e della tecnologia l'impossibile diventa sempre più possibile....nel campo delle relazioni sociali ed economiche siamo invece continuamente bombardati da un "non potete". Non potete compiere atti politici collettivi, non potete restare aggrappati al vecchio stato sociale, non potete isolarvi dal mercato globale. Forse è arrivato il momento di invertire le coordinate di ciò che possibile e impossibile. Magari non possiamo diventare immortali, ma è possibile avere più solidarietà e assistenza sanitaria ?".

Già: è possibile distribuire un po' più la ricchezza ? Se gli indignati sono dei "dilettanti", se siamo noi poveri cittadini tutti dei "dilettanti", cosa ci dicono i professionisti della politica ? Che ricetta hanno per noi ? Al momento ho sentito solo cose del tipo: immissioni di valuta, aumento del debito, privatizzazioni di massa, vendita dei tesori di famiglia, e far crescere il PIL sempre e comunque. Tutte azioni che, fino ad oggi, ci hanno fatto restare in questa crisi della quale non si vede la fine. In sostanza, con questo sistema di sviluppo capitalista senza freni, senza regole, non c'è speranza, non c'è sviluppo, non c'è lavoro per le prossime generazioni.

Ma si puo' cambiare la rotta ?

Qualcuno ci ha provato a farlo, e nessuno dei grandi mass-media ci ha raccontato come sia potuto accadere che qualche nazione abbia potuto prendere delle decisioni in barba alla volontà dei grandi speculatori finanziari.
Noi di Piazzaverdi abbiamo già discusso in questo blog il caso dell'Ecuador (guarda qui) che ha dichiarato "illegale" il suo debito pubblico.

In maniera simile, in Islanda, sono accadute cose analoghe. Ricordiamo alcuni fatti, sfruttando quello che scrive il sociologo spagnolo Manuel Castells in un articolo sull'Internazionale (guarda qui). L'Islanda era, nel 2007, il quinto paese al mondo per reddito pro capite, il sistema finanziario era dominato da 3 banche che praticamente avevano il vizietto di giocare con i soldi dei cittadini favorendo bolle speculative assai ardite, creando aziende in paradisi fiscali, gonfiando i capitali e chiedendo prestiti internazionali usando come specchietto per le allodole tali loro presunti capitali (gonfiati). Capito' allora, nel 2006, che l'agenzia di rating Fitch decidesse di declassare il paese perchè evidentemente aveva iniziato a comprendere che c'erano delle stranezze in quei "giochetti". Le banche allora cercarono di salvarsi creando dei conti ad alto rendimento pubblicizzandoli in altri paesi (Inghilterra, Paesi Bassi). Questa cosa duro' un paio d'anni poi, a settembre-ottobre del 2008 crollo' la fiducia del sistema finanziario e il paese, essenzialmente, falli': il valore delle case cadde a picco e gli islandesi si ritrovarono senza casa e senza lavoro.

A quel punto scesero in campo, direttamente, i cittadini che, dopo giorni di protesta, fecero cadere il precedente parlamento, ne elessero uno nuovo e poi un nuovo governo, guidato da una donna, Johanna Siguriardottir. Appena entrato in carica, il nuovo governo decise di nazionalizzare (capito ? nazionalizzare...) le tre principali banche, svaluto' la corona e limito' le importazioni.

Per decidere cosa fare del debito accumulato, cioè se renderlo ai creditori o no, fecero un referendum e il 93% dei cittadini votarono no alla richiesta di ridare indietro i soldi, almeno la parte del debito che avevano giudicato illegittimo, quello cioè prodotto alle loro spalle dagli speculatori. Non ci fu alcuna rivoluzione.

Ora la popolazione ha ritrovato una sua serenità, il paese sta di nuovo crescendo e i salari e i risparmi dei cittadini sono al coperto dalle speculazioni. Dal momento che i cittadini non hanno bisogno di indebitarsi chiedendo prestiti.

Certamente, il caso dell'Islanda non è facile che si possa ripetere. Anche perchè gli islandesi sono pochi, mi si dice. Resta, tuttavia, un dato di fatto a cui bisognerà trovare una risposta: la gran parte dei debiti accumulati dagli Stati non è facilmente restituibile, se si vuole rendere quanto dovuto a tutti i creditori. Bisognerà scegliere a chi ridare indietro i soldi e a chi no, temo, prima o poi.

Questo è quello che sta accadendo in Grecia, mi sembra. Se ho ben compreso ci sono solo 3 soluzioni per uscirne: o i Greci ridaranno "da soli" indietro tutto il debito che hanno contratto le loro banche con il resto di Eurolandia, abbassando enormemente il loro tenore di vita, oppure tutti i paesi di Eurolandia daranno una mano, oppure si immetteranno sul mercato un sacco di euro in più in modo da "nascondere" temporaneamente il problema. Appunto, temporaneamente.
I prossimi giorni e le prossime settimane ci diranno come andrà a finire la questione della Grecia. Poi toccherà a qualche altro Stato. E magari all'Italia, che non sembra messa benissimo.

Se questa preoccupazione è condivisa, non sarebbe il caso di porre all'agenda della discussione politica questi temi ? Possiamo guardare un po' "oltre" ? Abbiamo il diritto di chiedere a chi ci governa e a chi fa l'opposizione quale ricetta pensano di utilizzare per affrontare questi problemi ? Si può fare un audit dei nostri creditori ? Quali sono leggittimi e quali meno ? Oppure, porre anche solo queste domande, e magari ricevere delle risposte, è , per l'appunto e questa si, utopia ?

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