martedì 30 aprile 2013

Il principio di realtà, il sogno, la...felicità



Sigmund Freud, inventore della psicoanalisi, studiò i comportamenti umani analizzando, come noto, i sogni, e scoprì che esistono due modi fondamentali con cui funziona la mente: ci sono i processi primari che caratterizzano l’inconscio e quelli secondari del sistema cosciente. Nel caso dei processi primari l’energia vitale che determina i comportamenti fluisce senza ostacoli e non è subordinata a vincoli etici o di altro tipo (ad esempio sociali) e ha come unico scopo il soddisfacimento dei desideri. Questa pulsione è denominata “Principio del Piacere”. Nel caso dei processi secondari invece l’energia è “frenata” da regole sociali e/o etiche e talvolta il piacere viene o negato o magari solo differito. 

La ricerca della soddisfazione “pura” è tipica dei bambini che, come noto, non si pongono remore comportamentali (almeno finché sono piccoli), e mira a una gratificazione immediata, non trasferibile a momenti successivi. Il “Principio di realtà” è invece la pulsione che regola il raggiungimento del piacere nel mondo degli “adulti”, e funge da regolatore della libertà individuale, dal momento che in certi casi può anche negare il raggiungimento della felicità individuale se questa si ottiene senza il rispetto delle regole prefissate dalla società (per approfondimenti sul tema si può guardare qui, la letteratura su questi argomenti è veramente sterminata. Suggerisco anche un filmatino carino, che può piacere a grandi e piccoli, si scarica da qui).

Questa premessa un po’ didattica (mi scuseranno gli studiosi di psicoanalisi se ho banalizzato troppo) è però necessaria per fare un po’ di chiarezza (almeno a me stesso) sul tema, dal momento che in questi ultimi tempi ho sentito più volte tirare in ballo questo “freudiano” Principio di realtà in diverse situazioni (interviste, saggi, articoli su giornali ecc.), da parte di personalità della politica, dell’economia, della cultura. Tutte che si affannavano nel cercare di spiegare l’obbligo di far riferimento a tale principio di realtà nel momento del confronto con i cittadini, quando li si deve convincere a deglutire “pillole amare”, ma necessarie, per far fronte alla moltitudine di crisi diverse (economica, politica, di valori) che attanaglia il mondo moderno attuale.

E’ in sostanza citato il principio di realtà quando ci viene detto che non si deve più essere certi del lavoro, che forse da diritto sta diventando sempre più un opzional, non si deve più ritenere garantita la disponibilità di alcuni beni comuni; è il principio di realtà che viene citato quando si obbligano i cittadini a pagare a caro prezzo tutti i debiti contratti dagli speculatori, che operano in mondi spesso lontani anni luce dalle nostre realtà di città e paesi, e questo per i prossimi decenni. E’ infine citando il principio di realtà che si mette in crisi lo stato sociale che i nostri nonni, padri, hanno lottato per avere. Ad esempio la garanzia dell’assistenza sanitaria per tutti e a prezzi affrontabili. L’utilizzo di questo “tormentone” del Principio di Realtà è molto vasto. Ci limiteremo solo a qualche esempio per inquadrare il tema.

Ad esempio molto interessante è il fondo di Sergio Romano dal titolo eloquente: “Il principio di realtà” che suggerisco caldamente di leggere. Nell’articolo l’autore, all’inizio, ci spiega che le regole della democrazia si fondano sulla possibilità di scegliere, attraverso le elezioni, i propri governanti. I quali, per attirare consenso, devono (o dovrebbero) spiegare le loro tesi argomentando di temi “alti” che interessino le persone, entrando nel merito delle questioni. Cosa che, però, non avviene, in Italia, oppure avviene molto di rado. Questa scarsa propensione al confronto sui contennuti, precisa Romano, è dovuta ad una sorta di mancanza di coraggio nel voler spiegare ai cittadini come le regole tradizionali che regolano il mondo, ad esempio nell'economia, si siano modificate, e forse non esistano addirittura più. 

L'autore sottolinea testualmente: "... oggi, nell’eurozona non è possibile stampare o svalutare moneta, imporre dazi sulle importazioni e, soprattutto, impedire che i mercati giudichino l’attendibilità dei nostri bond fissando il tasso d'interesse che lo Stato italiano dovrà pagare a chi gli presta il suo denaro”. In sostanza non siamo più “liberi” di agire, pur avendo il diritto di eleggere chi ci piace, almeno in teoria. "Abbiamo un’economia ingabbiata”, aggiunge, “ostaggio di settori privilegiati e organizzati che non hanno altro obiettivo fuor che quello di difendere i loro diritti acquisiti”. E infine chiude: “..uno studio recente dell'International Monetary Fund, citato dall’Economist, sostiene che lo smantellamento di queste fortezze, con un alleggerimento della pressione fiscale, regalerebbe all'Italia, in dieci anni, un aumento del Pil pari al 20%. Ma sulla strada di quell'obiettivo vi sono i cavalli di Frisia degli interessi personali e corporativi. Al Paese occorre un governo che abbia il coraggio di abbatterli".
Si capisce facilmente che se questi sono i contenuti reali, pochi politici possano avere il coraggio o la voglia di raccontarli ai cittadini, dal momento poi che i margini d’intervento per modificare queste regole sono di fatto quasi assenti, nel mercato globale nel quale ci troviamo a convivere. 

Cambiando lo scenario, scendendo di scala per passare dai problemi globali sino ai recenti accadimenti casalinghi di casa nostra, più o meno “tristi” (il tormentone dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, il recente “governissimo” di Enrico Letta che tanti mal di pancia sta producendo a tutta la sinistra storica italiana), mi sono imbattuto in questo interessante pezzettino datato 24 aprile 2013, dal titolo curioso: “Sondaggio. Enrico Letta premier: principio di realtà o inciucio? “. Ne suggerisco la lettura, vedi qui.
Di nuovo il Principio di realtà. Leggo, ed è cosa nota, che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano avrebbe scelto Enrico Letta per realizzare un esecutivo di larghe intese, sostenuto da Pd-Pdl e da Scelta Civica. In tale circostanza, nella direzione Pd, a sostegno di questa scelta, c’erano alcuni che raccomandavano ai colleghi di attenersi, di nuovo (!) al “principio di realtà” che si fonda su alcune certezze: c'è una crisi che non ha ancora dispiegato tutti i suoi effetti, c'è un forte scontento sociale e infine ci sono anche degli interlocutori inaffidabili (in questo caso il Movimento 5Stelle di Beppe Grillo che ha sempre rifiutato il dialogo). L'unica via di uscita è, allora, dar vita ad un grande governo, un “governassimo”, dove ci siano dentro forze politiche di destra e di sinistra. Se poi creare un siffatto "minestrone" possa voler dire tradire qualche milione di elettori che non volevano per nessun motivo al mondo un governo del genere,... va be, questo è un dettaglio. Il principio di realtà è puro "acciaio", ci deve guidare, sempre e comunque: unico faro che illumini il buio delle scelte possibili (o impossibili...). Sta di fatto che questo accadimento sta creando un reale fortissimo turbamento nel mondo della sinistra, potrei chiamarlo... “infelicità”.   

Se si prova a leggere in giro, si trova scoramento ovunque. Leggo a puro titolo di esempio un fondo di Chiara Bert di qualche giorno fa che racconta del travaglio della “base Pd” in Trentino. Si legge testualmente: “Nelle ore che precedono il varo del governo Letta, anche in Trentino la base democratica vive il suo travaglio, fa i conti con il principio di realtà (di nuovo !), s’interroga sulle possibili vie d’uscita." Si parla di dilemma etico, di contrarietà logica oltre che ideologica a un governo PD-PDL. Si parla di incoerenza nel perorare una scelta del genere, che però viene urlata come "ineluttabile", perchè ce la impone, guarda guarda, un immarciscibile principio di realtà. 

Addirittura qualcuno afferma di dover “elaborare un lutto” perché la realtà non mostra possibilità di uscite. E infine la frase che più mi colpisce. Leggo testualmente una dichiarazione che recita: “….Napolitano non scherzava, non possiamo fare i puri all’infinito,...”. Strabuzzo gli occhi: avere un’idea e mantenerla per più di un mese è divenuta cosa che, oggi, non ci si può più permettere di avere ? Tutto deve essere volatile ? Magari anche l’amicizia per un amico, la fedeltà a un gruppo, l’amore per un’idea. 

E allora alcune domande nascono subito: Ma è giusto accettare tutto, venire a patti con chi non si vorrebbe, rinnegare il proprio passato, pagare per debiti che non si sono contratti, e magari per far arricchire chi ci ha impoverito, in nome di un “principio di realtà” ? Ma, innanzi tutto è vera questa realtà grigia che ci attanaglia ? E ammesso che sia vera, siamo stati noi la causa di quello che sta accadendo ? 
Per rispondere a questa serie di domande, bisogna fare prima un distinguo, altrimenti, giustamente, si può essere accusati di essere degli “sfascisti” o, peggio, dei provocatori.

A mio parere il rispetto di questo principio, al quale tutto si deve anteporre, compresa la felicità, è assolutamente obbligatorio e dovuto se la realtà e le regole sociali sono la realtà e le regole sociali che tutti gli uomini si sono date. E sottolineo: tutti. Se in un condominio viene deciso, da tutti i condomini riuniti in assemblea, che una saletta del palazzo viene adibita allo svolgimento di una certa attività dalle 14 alle 15 di un dato giorno la settimana, allora nessuno si lamenterà di non poterne disporre per uso personale, quel giorno e a quell'ora. 

Ma vale lo stesso il discorso se le regole le decidono in pochi, pochissimi, a discapito della stragrande maggioranza dei cittadini del mondo ? E unicamente per tutelare solo interessi di parte ? Tornando all'esempio del condominio, se la decisione di "bloccare" quella saletta fosse di un solo condomino, gli altri l'accetterebbero di buon grado ? Direi proprio di no, e avrebbero ragione da vendere.

Per capire chi è questa "casta", questi pochissimi che governano il mondo, val la pena ascoltare le parole di Eduardo Galeano, un grande della letteratura e della cultura dell’America Latina, in questa intervista, che tratta della distribuzione della ricchezza del mondo (vedi qui). Riflettiamo su queste parole. Fin dall’inizio dell’apertura di questo blog abbiamo battuto sui temi della sovranità perduta dei popoli per causa delle speculazioni delle grandi lobbies della finanza. Che scatenano guerre, cadute di governi, default di Stati, impoverimenti di massa, disperazione. E che muovono enormi capitali da una parte all'altra del mondo in pochi microsecondi (ne abbiamo più volte parlato in questo blog, vedi ad esempio qui e qui). Nelle mani di questi potentati ci sono i destini di imprese, fabbriche, di centinaia di migliaia di famiglie, di milioni di persone. Quelle regole imposte caratterizzano i "principi di realtà" che ci vengono venduti come verità ineluttabili. E che ci impediscono di vivere  bene le nostre vite.

Io non sono assolutamente in grado neppure di ipotizzare come si possa fare a uscire da questo gigantesco tunnel buio in cui l’umanità è caduta, almeno da 15-20 anni. Probabilmente non esistono metodi razionali per riuscirvi, e io certamente, se esistono, non li conosco. Come affrontare questi temi è lo scopo di una nuova politica, a mio parere. 
Ma la politica, perchè sia nuova, deve essere alimentata anche da...sogni. Già, dai sogni, e non sembri una battuta. Perchè senza sogni, cioè senza speranza di miglioramento, non nascono le idee innovative. Ma solo le stesse minestre riscaldate che mantengono, inevitabilmente, lo status quo...

E nessuno può impedirci di...sognare un futuro diverso, dove le “vere” regole sono quelle che si danno i popoli, tutti i popoli del mondo. Nessuno può impedirci di sognare che qualcosa si possa modificare, che si possa uscire dal "buco nero" della povertà, nel quale gran parte dei cittadini del mondo è già precipitata. Nessuno può negarci la speranza. E la speranza ha una forza dirompente, illumina il buio, rende serene le giornate nuvolose e grigie.
  
Questi concetti li ha espressi molto meglio di quanto sappia fare io un grande uomo, Roberto Saviano, qualche giorno fa in una trasmissione televisiva, usando come esempio le vicende del movimento pacifico che in Cile vinse il referendum contro Pinochet. E quei comunicatori portarono alla vittoria i nemici di Pinochet proprio perchè "inondarono" il popolo con spot pubblicitari che offrivano immagini "positive" e piene di speranza. Non aggredivano i nemici, quei grandi nemici che si erano macchiati di crimini anche efferati negli anni della dittatura. Vale la pena di riascoltare il discorso di Saviano (vedi qui) e, se posso suggerire, farlo sentire anche alle nuove generazioni.

Tra l'altro, alla fine del suo racconto, Saviano ha recitato uno straordinario scritto di Eduardo Galeano, del quale ho “catturato” alcune frasi sparse, che credo sia utile offrire ai lettori di “Piazzaverdi” in chiusura di questo post. 
Eccole, non serve assolutamente un nuovo commento, tanto sono dirette e piene di significato: 
“ … le Nazioni Unite proclamarono le grandi liste dei diritti umani: tuttavia la stragrande maggioranza dell’umanità' non ha altro che il diritto di vedere, udire e tacere. Che direste se cominciassimo a praticare il mai proclamato diritto di sognare? Puntiamo lo sguardo oltre l’infamia, per indovinare un altro mondo possibile: l’aria sarà pulita da tutto il veleno che non venga dalle paure umane e dalle umane passioni;….la gente lavorerà per vivere, invece di vivere per lavorare;… ai codici penali si aggiungerà il delitto di stupidità che commettono chi vive per avere e guadagnare, invece di vivere unicamente per vivere, come il passero che canta senza saper di cantare e come il bimbo che gioca senza saper di giocare;…Gli economisti non paragoneranno il livello di vita a quello di consumo, ne’ paragoneranno la qualità della vita alla quantità delle cose;…… i politici non crederanno che ai poveri piaccia mangiare promesse;….nessuno sarà considerato eroe o tonto perché fa quel che crede giusto invece di fare ciò che più gli conviene; il mondo non sarà più in guerra contro i poveri ma contro la povertà, e l’industria militare sarà costretta a dichiararsi in fallimento; il cibo non sarà una mercanzia, ne’ sarà la comunicazione, un affare, perché cibo e comunicazione sono diritti umani;….la Chiesa stessa detterà un altro comandamento dimenticato da Dio: “Amerai la natura in ogni sua forma”; saranno riforestati i deserti del mondo e i deserti dell’anima; i disperati diverranno speranzosi e i perduti saranno incontrati, poiché costoro sono quelli che si disperarono per il tanto sperare e si persero per il tanto cercare; saremo compatrioti e contemporanei di tutti quelli che possiedono desiderio di giustizia e desiderio di bellezza, non importa dove siano nati o quando abbiano vissuto, giacché le frontiere del mondo e del tempo non conteranno più nulla; la perfezione continuerà a essere il noioso privilegio degli dei; però, in questo mondo semplice e fottuto ogni notte sarà vissuta come se fosse l’ultima e ogni giorno come se fosse il primo “.

La nostra società italiana non è per fortuna buia e opprimente come poteva essere quella del popolo cileno ai tempi di Pinochet, ma si sta purtroppo lo stesso impoverendo ogni giorno di più. Anche in Italia aumentano a dismisura le persone che ogni giorno perdono il lavoro, la povertà sta crescendo in modo vertiginoso, nuove tensioni sociali si stanno proponendo a causa delle ristrettezze economiche che si fanno ogni giorno più accentuate. 

E allora, in questo contesto sempre più grigio, mi sta nascendo una gran voglia di tornare a sognare, di tornare a credere che possa essere ancora possibile riavere un paese normale, vivo, forte, pieno di voglia di fare e di speranza per il futuro. Come doveva essere, ritengo, negli anni del secondo dopoguerra, dove la speranza del futuro, dopo le bombe e tutti quei morti  ammazzati, cementò un forte senso dello stato tra i cittadini, rafforzò la solidarietà, permettendo quel gran miracolo economico che fu la ricostruzione. 

E sogno anche il ritorno ad una Italia con una “destra” moderata e non reazionaria, una “sinistra” riformista, dove possa tornare ad esserci un confronto pacato sulle idee. Un'Italia dove un governo possa governare senza necessariamente dover far ricorso a "inciuci" tra destra e sinistra, che non riesco proprio a credere si possano trovare concordi quando si tratta di decidere su argomenti come lavoro, stato sociale, gestione delle ricchezze, garanzie e beni comuni, scuola pubblica o privata, sanità.

I sogni non costa niente coltivarli, alimentano la speranza, creano le motivazioni per proporre idee nuove, giovani, fresche. Avere speranza fa ringiovanire, e qui non posso non ripensare al protagonista del film di Roberto Faenza, Sostiene Pereira”, tratto dall’omonimo libro di Antonio Tabucchi, dove un meraviglioso Marcello Mastroianni/Pereira si libera infine del suo “fardello” di consuetudini, obblighi, vigliaccherie, paure, causate dalla accettazione supina delle migliaia di “principi di realtà” imposti dalla dittatura di Salazar, e decide di combattere, come sa e come può. 
E il suo cammino a testa alta, con un giacchetto sulle spalle come potrebbe indossare un ventenne e non un uomo già anziano, in una Lisbona illuminata dalla luce del sole, riempie i nostri cuori di speranza e di felicità. Sentimenti che regalo con grande affetto ai lettori di Piazzaverdi...

Carlo.

sabato 6 aprile 2013

Il Timer


“Educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco”
(William B. Yeats)

La maestra Anna mi viene vicino con un tono un po’ afflitto. Una mamma le ha raccontato cosa sta succedendo nella scuola dell’infanzia di suo figlio e lei non se ne capacita.
 
Le maestre del bimbo, che ha quattro anni, dicono che  è molto oppositivo.
 
Prima di Natale spingeva gli altri bimbi e  ora fa delle cose strane. Ad esempio si tira giù i pantaloni e fa finta di fare la pipi come il suo nuovo gattino, oppure quando per merenda c’è il latte fa finta di bere dal contenitore come se fosse una ciotolina: alle maestre è sembrato che ci sputasse dentro.
 
La mamma è sconvolta non tanto da quello che fa sua figlio, ma dall’atteggiamento delle maestre. Sembrano molto sicure di sé: “il bimbo fa delle cose strane e ci mette  in difficoltà”.
 
La maestra Anna cerca di capire: “ma ti hanno parlato? Avete lavorato assieme?”.
 
La mamma le risponde che nell’ultimo periodo, lei a casa è stata molto vicina al figlio, ha cercato di capirlo. Ha anche pensato che forse sbaglia, perché non riesce a vedere la gravità della situazione. Tutto sommato infatti, per lei suo figlio è facile:  fa delle sciocchezze è vero, ma è ancora piccolo e lo si recupera facilmente.  La sorella  ad esempio, è decisamente più vivace.
 
A casa le cose vanno meglio, invece a scuola no.
 
Così le maestre hanno intensificato le punizioni. Per esempio per il discorso del latte l’hanno tenuto seduto abbondantemente e poi l’hanno anche fatto mangiare da solo.

Le punizioni devono essere esemplari dicono le maestre, perché altrimenti anche gli altri possono sentirsi autorizzati a fare le stesse cose. 
 
Nell’ultimo colloquio le maestre le hanno detto che non serve attivare altre strategie educative, il bimbo o meglio la mamma dovrebbero andare dallo psicologo, che può aiutarli a cambiare.

La mamma è sconvolta. “Lo psicologo? Ma perché sta facendo delle birichinate?”.
 
Affranta e avvilita è andata alla ricerca di un consiglio dalla maestra Anna, sperando, parlandone, di capire meglio perché si ritrova in questa situazione.
 
“Quello che non capisco è come mai hanno dato una punizione così lunga, il timer deve durare cinque minuti!”.
 
La maestra Anna è sorpresa: “timer, quale timer?”. 

“Eh sì, c’è anche un altro bimbo nella classe che è stato mandato dallo psicologo, il quale ha consigliato di usare un timer per le punizioni, altrimenti non ricordando più chi era in punizione e chi no, i bambini andavano in giro per la classe… Il problema è stato che quando i bambini hanno visto il primo bambino con il timer, l’hanno voluto anche loro: quindi ora ognuno ha il suo timer per la punizione!”.
 
Il volto di Anna è tra lo stupefatto e la tristezza profonda. Immagina la classe, di ventinove bambini, ognuno con il suo timer per riuscire a svolgere efficacemente la punizione e paradosso dei paradossi, contento di farla per poter disporre del timer.
 
Anna mi dice : “ma come è possibile che siamo arrivati a questo?”.
 
Inutile dire che non è tutta responsabilità delle insegnanti. Quando sei da sola, con pochissima compresenza, con ventinove bambini, i tuoi ideali educativi sono messi a dura prova e possono spesso soccombere. La cornice di riferimento dice alle insegnanti che è possibile che le loro classi abbiano sempre più allievi dentro lo stesso spazio: nessuno sembra preoccupato delle difficoltà che ne possono scaturire. Eppure il rapporto numerico non è l’unico indice, ma può fare sicuramente la differenza nella qualità del modo di lavorare.
 
Ho contato, nella foto di quando ero bambina, nella mia scuola “materna” gestita da religiose,  circa trenta bambini. I problemi di disciplina erano affrontati molto più severamente (quanto tempo passato nell’angolino della sezione!) ed i pomeriggi si trascorrevano poggiati con la testa e il busto sui banchi facendo il sonnellino, o stando zitti, anche se non avevamo sonno.
 
Il concetto di “obbedienza” veniva veicolato molto chiaramente. Concetto condiviso, anche se forse si capivano o intuivano poco le conseguenze che avrebbe potuto avere poi sulla struttura sociale del futuro. Nulla sicuramente a che vedere con l’autodisciplina proposta da Maria Montessori.
 
Siamo rimasti o siamo tornati di nuovo lì?

Non posso non pensare alle parole di Myrtha Chokler nel suo articolo “Intervento precoce nella prevenzione della sindrome di iperattività e dei disturbi attenzionali”:
 
Quale uomo e quale bambino vogliamo aiutare a crescere e ad essere? Un soggetto autonomo, libero, con fiducia in se stesso e solidale? O un essere sottomesso, dipendente dal riconoscimento permanente dell’altro, il cui interesse per il mondo circondante è legato soltanto a conquistare soltanto premi o evitare le punizioni, un essere stimolato alla rivalità –“vediamo chi vince?”-  un essere che deve ad ogni momento fare un esame per essere accettato –“vediamo se sei capace di…”?.  Se invece si sta dalla  parte del soggetto autonomo, libero, che si sente e si vive come soggetto e non come assoggettato, allora qual è il ruolo dell’adulto, della società, dei professionisti per tutelare il rispetto per la persona e il suo diritto ad essere riconosciuta come chi è, proprio così com’è, al di là delle differenze, degli svantaggi o della disabilità?. Abbiamo imparato a riconoscere il bambino essenzialmente come un soggetto di azione e non soltanto di reazione ad ogni istante e luogo, per cui le idee della Pikler e la sua pratica, le sue concezioni sull’autonomia e la sicurezza affettiva dimostrate in bambini fisicamente sani, ci confrontano con la sfida di dimostrare che questi postulati fondamentali sono completamente pertinenti ed efficaci per tutti i bambini, inclusi coloro che soffrono di una considerabile disabilità vissuta ed espressa ad ogni istante nel suo livello. ( http://www.ifra.it/prima-infanzia.php)

Dove è finito questo tipo di pensiero?

La maestra Anna, che insegna in una scuola primaria mi dice: 

“Lo so che è difficile, ma i bambini mi dimostrano che basta veramente poco per raggiungerli. Negli ultimi anni, ad esempio, un pomeriggio alla settimana, realizzo in classe il laboratorio delle emozioni. I  bambini possono scrivere qualcosa che li ha fatti stare male o bene, in classe o fuori, e se firmano il biglietto vuol dire che ne vogliono parlare direttamente con la classe.  Ebbene una mamma mi ha detto che hanno dovuto rimandare assolutamente l’appuntamento che avevano con il dentista perché sua figlia non poteva mancare al laboratorio delle emozioni. All’inizio qualche genitore era scettico e mi ha detto  ma lei vuole sapere i fatti di casa nostra. Non ci sta molto bene. Allora ho dovuto spiegare loro meglio quale era la finalità. Dei fatti in sé non mi interessava niente. Ma delle emozioni che stavano vivendo i bambini sì. Perché se i bambini sono bloccati o presi dalle loro emozioni tutto quello che io insegno non passa…. . Tra l’altro io quel pomeriggio faccio italiano, anche se in un altro modo…”. 

E’ vero. Stiamo cercando di fare finta che il corpo e la mente siano due entità scisse. Il nervo vago che collega il cervello della testa a quello addominale è per i più, un perfetto sconosciuto.

I bambini sono diventati dei contenitori vuoti da riempire (la vecchia tabula rasa ahimè) e non individui da conoscere e con i quali costruire assieme il sapere.
 
E’ l’epoca di internet, inglese, impresa. Verifiche, test, prove.  Tutto, apparentemente, sotto controllo  Nulla di male in effetti, anzi, le nuove tecnologie possono essere uno strumento in grado di velocizzare le comunicazioni, di metterci in rete, ecc., ecc..
 
Ma il problema nasce nel momento in cui la scuola si riduce solo a questo.
 
Infatti i nostri stati d’animo, le nostre motivazioni, le nostre molteplici intelligenze non vogliono essere addestrate ma educate. E’ una differenza decisiva.
 
Altrimenti le emozioni non ci stanno ed escono piano piano, come il vapore da una pentola a pressione… Così ad esempio il figlio dell’amica della maestra Anna, quando le insegnanti dicono “state tutti zitti, mentre leggiamo non si parla”, lui tace, ma comincia piano piano, poi un po’ più forte a muovere il piede in terra, e le maestre si indispettiscono, le tensioni crescono, ed escono fuori di nuovo i timer.
 
Ricordo ancora il mio Professore di inglese in prima media. Era la prima volta che sentivamo parlare in inglese. Abitavo in un piccolo paese della provincia del centro Italia.
 
L’Italia era molto diversa allora.  I bambini disponevano di meno nozioni e di tanto cortili.
 
Ricordo come fosse ieri, il momento in cui entrò in classe: un signore alto, pelato, bruttino forse, ma bello ai nostri occhi grazie ad un sorriso che arrivava da un orecchio all’altro.
 
Non disse una parola in italiano.
 
Iniziò a parlare in inglese e continuò per circa quindici-venti minuti senza mai fermarsi.
 
All’inizio stupore, poi sorrisi, poi risate convulse di tutta la classe. Il Professore continuava a parlare in inglese e a ridere anche lui, guardandoci, esprimendo nel suo sguardo la voglia di stare con noi.
 
Ecco perché mi è sempre piaciuto l’inglese.
 
Nonostante molti altri insegnanti mi abbiano poi tolto molte sicurezze e abbiano reso la lingua straniera un insieme di regole sterili, noiose e difficili.
 
Non posso dimenticare quel primo giorno e quelle risate.

Silvia.

lunedì 1 aprile 2013

2073: Cronache dal futuro


Letto ieri, 18 agosto 2073, in un quotidiano nazionale di grande tiratura....

<<Anche oggi, 18 agosto,  l'ennesima giornata torrida sul Nord Italia. Da più di un mese in molte città del Nord Italia il termometro è abbondantemente sopra i 40 gradi, con gravi disagi ai cittadini causati dal gran caldo, che, unito all'elevata umidità dell'aria, produce un elevatissimo stato di disagio bioclimatico alle persone. Non si contano i black-out elettrici a causa dell’eccessiva richiesta di energia elettrica per rinfrescare le case. L’acqua scarseggia, in molte città è razionata e disponibile solo poche ore al giorno. Purtroppo si sono verificati tanti decessi anche nell’ultima settimana, soprattutto tra le persone anziane. Gli ospedali hanno gravi difficoltà a soccorrere il gran numero di cittadini che chiedono assistenza per far fronte ai danni del gran caldo. I servizi sociali sono al collasso. Non piove più da 4 mesi, fatta eccezione di quella eccezionale tempesta "quasi tropicale" di pochissime ore che si è abbattuta 15 giorni fa in Liguria e in parte della Toscana e dell'Emilia dove sono caduti più di 400 mm di pioggia in 3 ore e che ha causato tantissimi allagamenti e frane e danni per milioni e milioni di euro. 
La cosa incredibile, ma che in verità tanto incredibile non è visto che è diventata la norma negli ultimi 20 anni, è che nel mese di marzo abbiamo avuto un gran freddo, con giorni e giorni freddi e temperature minime prossime allo zero. E pioggia, tanta pioggia, e quindi frane, alluvioni...E poi, all'improvviso, un' improvvisa impennata delle temperature, la primavera che dura una settimana, fino ad arrivare ai 40 gradi di questa estate. Di questa nuova estate torrida.>>

Il clima di oggi non è più quello dei nostri nonni e bisnonni, e le modifiche non sono state causate da cause naturali ma, al contrario, è stata colpa dell'incredibile aumento dei gas a effetto serra, generati dalle sue attività. Oggi siamo arrivati a valori di concentrazione di CO2 in atmosfera dell'ordine di...

Tutto questo era stato previsto tanti anni fa. Ad esempio dal IV report dell'IPCC.

La "Politica" del mondo non è stata capace di contrastare l'aumento delle emissioni con adeguate azioni di mitigazione. Per di più, se la nostra società attuale è oggi così vulnerabile di fronte a questi eventi meteorologici, ciò è dovuto alla mancata realizzazione di azioni di adattamento efficaci.

Perchè agire per "mitigare" le emissioni di gas serra avrebbe voluto dire contrastare la "crescita". E, d'altro canto, l'attuazione di piani di adattamento avrebbe voluto dire investire parecchi soldi che si diceva non ci fossero. O forse semplicemente non si volevano mettere per queste cose.

Che il clima stesse cambiando, era noto, all'inizio del secolo. I segnali c'erano tutti, a partire dall’inizio degli anni ’80 del secolo XXmo, la temperatura era letteralmente “decollata”, ad esempio nel Nord Italia, con dei trend di crescita di 3-4 volte superiori a quelli che si registravano a scala globale (dell’ordine di quasi un grado in 100 anni, dall’inizio del ‘900 sino all’inizio del 2000). Questa impennata interessava tutto il bacino del Mediterrano, che veniva già giustamente considerato un "hot spot". Si parlava, in quegli anni, dei rischi di desertificazione dei suoli, di aumento degli episodi siccitosi, degli incendi, dei gravi impatti sulla disponibilità di acqua, degli aumentati pericoli per la salute causate dalle più frequenti “onde di calore” durante i mesi estivi. Per non parlare degli scenari climatici futuri che già all'inizio del secolo erano abbastanza concordi nel prevedere per l'area del Mediterraneo un clima futuro ancora più caldo e secco. Con tutti gli impatti negativi del caso...

E poi non c’era solo il clima…I rischi ambientali erano cresciuti a dismisura anche perché la vulnerabilità e l’esposizione dei territori al rischio erano cresciuti in modo esponenziale. Ettari ed ettari di territorio erano stati rubati alla Natura, le città si sono lasciate espandere senza limite. Gli uomini hanno continuato a modificare il corso dei fiumi, sotterrando sotto metri cubi di cemento il deflusso delle acque o deviando gli alvei naturali, hanno costruito arginature artificiali sempre meno controllate per via dei soldi sempre calanti, hanno costruito case, capannoni, aziende, case e ancora case in luoghi dove non si sarebbe dovuto costruire....

La Natura sempre più spesso si ribellava per riprendersi i territori che le erano stati "rubati". Gli impianti fognari delle città non tenevano più, i canali di bonifica si allagavano, chilometri e chilometri quadrati di territorio erano allagati sempre più frequentemente.
E quando non c'erano le alluvioni e le frane, arrivava la siccità. E poi il gran caldo estivo, come quello di oggi, e il clima praticamente “tropicale” che si era creato aveva già iniziato a far scatenare le prime epidemie sanitarie. Erano comparse anche in Italia, e già agli inizi del secolo XXI, le malattie “africane producendo un numero crescente di decessi, soprattutto tra le classi sociali più deboli che non potevano permettersi cure costose.

L'eccessivo caldo stava già diminuendo la disponibilità di acqua.

Già quarant'anni fa, attorno al 2020, si sono viste le prime avvisaglie di quelle che dopo sarebbero state vere e proprie "guerre per l'acqua", come ricorderanno i nostri lettori più anziani..

E poi, la popolazione del mondo cresceva. In modo diseguale. Le città erano diventate delle megalopoli con più di 30 milioni di abitanti. La grande maggioranza dei quali viveva in quartieri poverissimi, praticamente delle baraccopoli. E pochissimi ricchi invece vivevano in quartieri residenziali, la sicurezza dei quali era garantita da interi plotoni di guardie armate.
Sempre più poveri morivano di fame e di malattie indotte dal caldo, dalle malattie, dalle alluvioni, dalla siccità, dall'acqua poco potabile.

Nulla fu fatto per arrivare al collasso. Nulla.

E il collasso, arrivò. I primi sintomi 10 anni fa.
E poi, il tracollo.

Collasso totale: ambientale, economico, indotto dalla crisi climatica e ambientale, da quella demografica, da quella economica, agro-alimentare. Così come era stato predetto già nella seconda metà del secolo XX, un secolo fa, dal famoso "Club di Roma” in un lavoro che si chiamava: I limiti dello sviluppo. Vale la pena ricordare adesso le conclusioni di quel rapporto:  

1. Se l'attuale tasso di crescita della popolazione, dell'industrializzazione, dell'inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo su questo pianeta saranno raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità industriale.

2. E’ possibile modificare i tassi di sviluppo e giungere ad una condizione di stabilità ecologica ed economica, sostenibile anche nel lontano futuro. Lo stato di equilibrio globale dovrebbe essere progettato in modo che le necessità di ciascuna persona sulla terra siano soddisfatte, e ciascuno abbia uguali opportunità di realizzare il proprio potenziale umano.

Ma il punto 2 non fu mai attuato...

Carlo