venerdì 25 maggio 2012

La responsabilità diffusa


Come si può suscitare un cambiamento sociale dal basso, senza sentire o presumere che qualcuno stia orientando le tue azioni o che ci siano persone infiltrate che cavalcano la nuova onda solo per interessi personali ?

Come si fa a provare a cambiare le cose, senza il rischio che ci sia, da una parte una minoranza di persone che ha capito la necessità di modificare l’attuale organizzazione e, dall’altra, la maggior parte della gente che continua a vivere (o sopravvivere) nella propria quotidianità a volte anche faticosa e dura ?

Credo sia importante ricordare che esistono teorie psicologiche che spiegano le azioni dell’individuo nel momento in cui, appartendo ad un gruppo, riduce la sua “quantità di responsabilità”.
 
Se vediamo che nessuno reagisce o che la maggior parte delle persone rimane indifferente di fronte ad una situazione di pericolo, ad esempio, restiamo inerti e non ci preoccupiamo. Gli psicologi la chiamano “ignoranza pluralistica”. Se nessuno si preoccupa, non c’è da preoccuparsi…. O meglio la preoccupazione che sto provando mi appare infondata.
 
Sapere che noi funzioniamo così è importante, perché è una sorta di specchio che modifica la nostra immagine riflessa e le facili categorie nelle quali ci suddividiamo come ad esempio altruista/egoista. Questa nuova immagine ci sollecita a pensare a dinamiche di sistema più complesse, a  prenderne atto, per provare poi a “romperle” o modificarle.

C’è un bellissimo esperimento realizzato da due psicologi sociali John Darley e Bibb Latanè negli anni settanta:

<<
Gli studenti, che si prestarono volontariamente a fare da soggetti per questa ricerca, al loro arrivo passavano lungo un corridoio sul quale si aprivano le porte di numerose stanze. Lo studente veniva condotto dallo sperimentatore in una di queste stanze dove vi era un’attrezzatura per comunicare attraverso dei telefoni interni, sedeva quindi ad un tavolo dove c’era un microfono e metteva una cuffia per l’ascolto. Veniva quindi lasciato solo nella stanza.
 
Attraverso la cuffia il soggetto ascoltava la voce dello sperimentatore, il quale diceva di essere interessato ai problemi personali degli studenti universitari, specialmente di coloro che potevano trovarsi in un particolare stato di stress ambientale (erano a New York).
 
Gli studenti a turno avrebbero parlato dei propri problemi ma senza vedersi, per garantire l’anonimato, sentendo comunque la voce l’uno dell’altro.  Contemporaneamente veniva detto che lo sperimentatore non avrebbe udito niente della conversazione che si svolgeva tra gli studenti, ma avrebbe raccolto alla fine i loro commenti.
 
Variabile critica: numero di soggetti che apparentemente partecipavano alla seduta. Nel senso che lo studente era sempre da solo ma gli veniva fatto credere (perché ascoltava voci preregistrate) di essere con un altro, con altri due o cinque studenti, tutti  in comunicazione con lui.
 
L’esperimento inizia con una “prima persona” che racconta dei suoi gravi problemi di adattamento a New York e in particolare nell’ambiente accademico.
Inoltre questa persona racconta di avere avuto attacchi epilettici, specialmente in vicinanza degli esami o durante periodi di studio accanito.
 
Dopo questo intervento si sentono le voci degli altri “presunti” partecipanti che parlano per due minuti dei loro problemi; infine anche il vero soggetto parla di sé.
 
Quindi riprende il primo,il quale, con un tono di voce assai sofferente, comincia a dire qualcosa del genere : “Oh, io… c’è qualcuno che potrebbe… c’è qualcuno che può aiutarmi? …sto male… ho bisogno di aiuto… c’è qualcuno che potrebbe aiutarmi.. oh, dio, mi sembra di avere un attacco… mi sta venendo… se qualcuno può venirmi ad aiutare (si sentono suoni di uno che sta soffocando). Mi sento morire… ho un attacco…
>>

E’ estremamente interessante conoscere quale è stato il comportamento delle persone che hanno sentito dire queste parole.
 
Pressoché tutti gli studenti che credevano di essere i soli destinatari della richiesta di aiuto, sono corsi fuori dalla stanza per avvertire di cosa stava succedendo e soccorrere il compagno che credevano stesse male, con una media di 52 secondi di attesa. Alcuni non aspettarono neanche che l’altro finisse di parlare.

Molto diversa fu invece la reazione di quelli che credavano di fare parte di un gruppo di sei persone. Essi sapevano che la richiesta di aiuto era ascoltata in quello stesso momento da altri cinque studenti e solo nel 31% dei casi interruppero la sessione ed uscirono per dare l’allarme. Inoltre il tempo medio trascorso fu notevolmente più lungo… cioè quasi 3 minuti.
 
Il comportamento delle persone che si trovavano nella condizione sperimentale intermedia, (gruppo di tre persone), si collocò  a metà strada fra i due estremi.

Questo comportamento viene riproposto anche se la situazione può rappresentare un pericolo per la persona stessa, come nell’esperimento in cui ad un certo punto compare la presenza di fumo dall’apertura del riscaldamento. 
Anche se l’aria diventa irrespirabile  nessuna delle tre persone che compilavano il questionario si alzava per fare qualcosa, mentre, se la persona era da sola in tre/quattro minuti usciva per avvertire della fuoriuscita di fumo.

E’ importante sapere che, senza rendercene conto, la semplice appartenenza ad un gruppo influenza profondamente le nostre azioni individuali.

Quando si presenta qualcosa di anomalo e potenzialmente allarmante e non abbiamo altre informazioni su cui basarci, noi guardiamo il comportamento degli altri, come per sapere di che si tratta, se dobbiamo o no preoccuparci e intervenire, cosa dobbiamo fare. Insomma: contiamo prima sugli altri e poi su noi stessi.

( tratto da Esperimenti di Psicologia – Valentina D’Urso e Fiorella Giusberti- Zanichelli )

Immagino infine che i messaggi di rassicurazione che vengano dall’alto (dal potere politico, dai media) possano essere ancora più "rincuoranti".
 
Le cose stanno precipitando, ma tutti sono apparentemente tranquilli.
 
Chi si agita o si preoccupa, viene considerato ansioso e provocatore.
 
Lo sperimentatore può dire che l’esperimento è perfettamente riuscito.

Silvia

mercoledì 23 maggio 2012

La qualità apparente

Non so perché, ma mi è sempre piaciuto entrare in un Comune, parlo proprio dell’edificio, della sede fisica.

Deve essere qualcosa di innato: mi ha sempre dato una sensazione di “appartenenza”. Di entrare in un luogo che è un po’ anche mio. Un ente fatto di cittadini che si occupa dei cittadini e del territorio. Forse una grande illusione, ma ho sempre avuto la sensazione che era lì che, come cittadina, avrei potuto trovare le risposte ai miei bisogni.

Come è lontana questa sensazione, dall’immagine dei “fannulloni” e di sistema inefficiente che l’immaginario collettivo ha ora assegnato all'ente e al dipendente  pubblico.

Nonostante questa “passione”,  ho sempre lavorato nel privato, fino a tre anni fa.

Nel terzo settore quello che, soprattutto nell’Italia centrale, ha rappresentato l’alter-ego dell’ente pubblico nella gestione dei servizi alla persona.

Ma già allora, vent’anni fa, le contraddizioni erano tante. Avevi sempre il contratto di lavoro in scadenza con la chiusura delle scuole. L’estate non eri pagata e spesso la tua retribuzione era legata alle ore effettive di presenza dell’utente, legata cioè  alle malattie della persona che dovevi seguire. Concetto abbastanza paradossale. Ma il personale era prevalentemente molto giovane e poteva accettare anche allora, forme contrattuali di questo tipo,  quasi considerandole una sorta di piattaforma temporanea, magari per pagarsi gli studi e  poter andare avanti.

Non che questo giustificasse la scarsa retribuzione e la precarietà, ma te la faceva accettare più volentieri.

Tre anni fa, ho fatto il mio ingresso nel mondo del lavoro pubblico ed ho lavorato per un paio d’anni contemporaneamente per il pubblico e per il privato, con una identità mista, che mi ha concesso di vedere le cose da più punti di vista nel medesimo momento.

Negli ultimi anni è avvenuta la progressiva esternalizzazione dei servizi precedentemente offerti dal pubblico in diversi ambiti di intervento: mense, trasporti, infanzia, ecc.

Si è progressivamente pensato che questa parola (esternalizzazione) fosse un po’ “magica”, la soluzione di tutti i problemi che hanno cominciato a gravare sugli enti locali dopo l'introduzione del cosiddetto “patto di stabilità” che, impone al bilancio dell’ente locale un limite tassativo alla spesa.

E’ una parola dunque che sembra risolutiva. E nell’Italia di Azzeccagarbugli è sempre facile trovare cavilli normativi per “mettere fuori” settori che prima erano interni:  ad esempio, basta  definire “ramo di azienda” un settore come  il trasporto locale e puoi esternalizzarlo, affidandolo ad un privato mediante gara d’appalto.

Dal pubblico verso il privato, dunque. 

Niente di male in apparenza. Quante volte si parla e si è parlato di sistema integrato dei servizi. Molti lavoratori del pubblico si sono arroccati all’inizio, quando hanno cominciato a vedere che i servizi venivano dati in gestione al privato. Del resto l’arrivo nel mercato lavorativo di  persone che hanno le tue stesse mansioni, ma  uno stipendio minore ed  un monte ore di lavoro maggiore, non può che far sentire la tua identità professionale minacciata.
E quando uno si arrocca, oggi, sembra antistorico. Perché la parola d’ordine è  flessibilità. Quindi vuol dire che se vuoi mantenere tutto com’è, non capisci che stai creando un blocco nell’evoluzione del sistema. Che in realtà  c’è posto per tutti. Che non si tratta di togliere, ma di aggiungere…

In linea di principio è tutto estremamente convincente. Il monopolio pubblico  può sembrare ideologico, quindi è giusto aprire ad altre realtà.
La cornice generale è appetibile e facile da vendere ed in effetti è stata facilmente venduta.

Quando si fanno gli appalti per la gestione dei servizi all’infanzia, per esempio, le amministrazioni locali continuano a dire che quei nidi sono e restano pubblici, perché rimane pubblica tutta la cornice: l’emanazione del bando, la creazione della graduatoria e l’attribuzione e l'incasso delle rette. La gestione invece viene affidata al privato che diventa appunto un ente gestore.

Che differenza c’è allora ad esempio tra un asilo nido “gestito” da un ente pubblico ed un asilo nido “gestito” da un ente privato ? Molte differenze sono sottili ed hanno rischi potenziali. Altre sono percepibili solo se sei dentro il sistema. 

L’utenza ad esempio, spesso non è in grado di coglierla e quindi questo rinforza l’idea che la strada da percorrere sia proprio quella corretta.
Spesso in effetti, quello che arriva all’utente finale può non essere molto differente, soprattutto se l’appalto è affidato ad un privato “serio”.
Anzi paradossalmente potrebbe sembrare anche migliore, perché l’attenzione che viene riservata all’utenza può essere ancora più marcata, perché “utente”, per il privato, significa cliente, mentre per il pubblico significa "semplicemente" cittadino.

E’ una differenza sottile ma che può presupporre premesse molto diverse, come il fatto che lo scopo sociale di un ente gestore privato è, prima di tutto, garantire il lavoro alla organizzazione e ai soci/dipendenti, mentre per un ente pubblico lo scopo primario è (o dovrebbe essere) soddisfare i bisogni di cittadini. Entrambi sono obiettivi importanti. E non è detto che l'uno escluda l'altro. Ma è importante avere chiaro in mente da quali premesse implicite si parte.

Non sto dicendo che pubblico voglia dire automaticamente efficienza, qualità, risposta certa ai cittadini. Sto dicendo che anziché andare a verificare dove si poteva recuperare efficienza e dove si doveva valorizzare la qualità si è detto che bisognava tagliare e buttare fuori. Anziché curare, si è deciso di tagliare facendo una operazione chirurgica: via il dente, via il dolore.

Eppure soprattutto in alcune regioni italiane i servizi pubblici rappresentavano, non molti anni fa, una vera e propria eccellenza. La qualità era presente, anzi era talmente presente che arrivavano tante delegazioni dall’Europa a vedere come si faceva a compiere quelle azioni di qualità.
Ma è arrivato il momento di tagliare, anche se paradossalmente, come ente locale hai anche dei soldi da spendere. Il patto di stabilità te lo impone. Quindi non si hanno alternative: se si vogliono tenere i servizi devono essere appaltati.

Ed ecco  il privato che arriva con la certificazione di Qualità Iso 9001. Si importa il modo di valutare la qualità delle aziende e lo si inserisce dentro i servizi pubblici. Per essere certificati ti devi attenere ad una serie di procedure, che contemplano di essere sempre messe per iscritto. E fino a qui tutto bene. Il problema è che chi certifica non ne sa niente dei servizi: ti costringe a costruirti una prigione, dentro la quale tu puoi solo dire come ti vuoi muovere. Ma la prigione resta. Devi compiere e registrare una serie di azioni  misurabili e quindi il modo di valutare assume prevalentemente un’ottica quantitativa.

Si archivia, si registra, si annota, ma questa valutazione comporta anche inesorabilmente la costruzione di una nuova idea di qualità. Una qualità apparente perché di carattere prevalentemente gestionale che contempla una quantità infinita di carte da compilare ed esibire all’ispettore che arriva in visita.

Questa assidua annotazione e registrazione di presenze,  flussi,  numeri, dà una perfetta illusione di controllo, che è molto rassicurante ma, purtroppo, fondamentalmente  irreale.

La qualità nei servizi (e, particolarmente, nei servizi alla persona) è fatta oltre che dalla qualità della organizzazione, anche e sopratutto dalla qualità delle relazioni che le persone instaurano e le relazioni, tramite il modello di controllo di valutazione aziendale, sono difficilmente discriminabili.

Paradossalmente tutto è sotto controllo, ma la qualità può non esserci.

Mi chiedo quanto diverso sarebbe stato se la “contaminazione” tra pubblico e privato avesse portato il pubblico ad aumentare il monitoraggio degli aspetti gestionali, ed il privato a condividere e ad individuare assieme al pubblico la giusta idea di qualità e degli appropriati strumenti di valutazione.

In realtà il tentativo in una regione come l’Emilia Romagna viene anche fatto, ma le certificazioni resistono e cercano di marcare il territorio. Ma quando sarà tutto esternalizzato, chi detterà i criteri per la valutazione della qualità di servizi che il pubblico non gestirà più?

E' possibile governare e controllare un processo che non si gestisce e, quindi, non si conosce ?


Pubblico e privato possono convivere ma il pubblico deve mantenere il “governo” della situazione altrimenti si è in balia del mercato, che ha leggi proprie, che non è detto, siano le leggi della pubblica utilità

E infine, il personale dell’ente gestore privato lega il suo lavoro alle vincite delle gare d’appalto. Questo significa, per il lavoratore, che oggi il lavoro c’è ma fra tre anni non è detto che ci sia ancora e nello stesso posto. Il pubblico per il quale l’ente gestore lavora avrà ancora bisogno di quel personale ? Se la risposta sarà no, il lavoratore a tempo indeterminato dovrà essere ricollocato sperando che ci siano altre posizioni libere, quello a tempo determinato dovrà invece rimettersi sul "mercato".

Per i lavoratori, per il servizio, per i cittadini, siamo sicuri che tutto questo sia qualità ?

Silvia.

sabato 19 maggio 2012

Stop The ESM !


In pochissimi lo sanno, e molti di quelli che lo sanno non si preoccupano.

Quelli che si preoccupano sono troppo pochi e non hanno voce.

Il Parlamento Italiano sta per approvare il trattato che istituisce il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM nell'acronimo inglese).

E' stato presentato il Disegno di Legge 3240, ora in discussione alle camere.

Ecco qui dove potete trovare il testo del DDL che contiene, in coda, anche il testo completo del trattato del MES:


Sui giornali non si legge nulla.

In TV non se ne parla, neanche nelle trasmissioni più "critiche" e "indignate".

Eppure la portata di questo trattato è spaventosa.

E alcuni articoli (come il 32, 33, 34, 35, 36) sono semplicemente inquietanti e incredibili.

Si parla di immunità totale della istituzione e dei suoi membri, di segretezza totale di tutti i documenti, di inviolabilità dei beni e dei luoghi.

Si sta per creare un super-organismo finanziario, dotato di super-poteri sovra-nazionali, totalmente opaco nella architettura della sua governance, scollegato da qualsiasi controllo democratico e istituzionale.

L'Italia partecipa al capitale del MES per 125 miliardi di euro (!) e, entro il 2012, (a luglio e a ottobre) deve versare le prime due rate per un totale di 5,7 miliardi di euro.

Per versare le prime due rate il nostro paese dovrà emettere nuovi titoli di debito, non previsti dal piano delle emissioni del 2012 e andando in deroga al patto di stabililtà.

Italiani, concittadini, prima di approvare anche noi con il nostro colpevole silenzio la ratifica del MES, dobbiamo fare uno sforzo, dobbiamo leggere, dobbiamo capire.

Facciamoci solo una domanda, molto semplice:

Se ci fossimo noi, in parlamento, a rappresentare il Popolo, firmeremmo la ratifica di QUESTO trattato ?

Lo faremmo per il Bene dei nostri Figli ?

Sandro

giovedì 17 maggio 2012

Articolo 81 e dintorni




L’Articolo 81 della Costituzione della Repubblica Italiana, fino al 18 aprile 2012, recitava:

<< 
Le camere approvano ogni anno i bilanci ed il rendiconto consuntivo presentati dal governo.
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente quattro mesi. Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.
Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte. 
>> 

Il 18 aprile il Senato approva, in seconda lettura, il ddl costituzionale di riforma dell'art. 81, che introduce il pareggio di bilancio in Costituzione, raggiungendo col voto unanime di Pd, PdL e Terzo Polo, il quorum di 214 voti su 321 aventi diritto necessario ad evitare il referendum popolare confermativo.

Questo è il nuovo testo dell’Articolo 81:

<< 
Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.
Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.
Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.
Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principî definiti con legge costituzionale.
>> 

La nuova formulazione dell'Articolo 81 impone, di fatto, il seguente vincolo matematico al Bilancio dello Stato:


( Entrate – SpesaCorrente ) – Interessi – Investimenti = 0


Dove l'ordine degli elementi non è casuale e rispecchia le nuove "priorità" della politica economica nazionale,  che non sono più negoziabili e vengono, di fatto, sottratte alla volontà del potere politico che  è, o dovrebbe essere, espressione della volontà popolare.

In maniera molto “divulgativa” (ma utile per capire) possiamo riassumere la cosa nei seguenti termini:

Lo Stato applica una certa Pressione Fiscale sulle famiglie e sulle imprese e quindi ottiene,  ogni anno, un certo ammontare di Entrate (fiscali).

Con queste risorse finanziarie deve:

1) Prima di tutto coprire la Spesa Corrente (cioè deve far funzionare la macchina dello Stato).

poi, con quello che avanza (non a caso questa differenza si chiama “avanzo primario”) deve

2) Pagare gli Interessi sul debito pubblico (deve, cioè, onorare il servizio del debito)

poi, con quello che avanza (se avanza) può

3) Effettuare Investimenti (costruire nuove scuole, nuovi ospedali, nuove strade, nuove reti informatiche, nuove infrastrutture pubbliche in generale)

Cioè lo Stato può investire solo se ha i soldi in cassa e non può più fare deficit per finanziare nuovi investimenti a debito.

E’ un po’ come dire ad una famiglia che può comprarsi la casa solo se ha già tutti i soldi cash nel conto corrente perché , per legge, è diventato illegale stipulare un contratto di mutuo con una banca.

Il pagamento degli interessi sul debito ha, quindi, maggiore priorità rispetto agli Investimenti:  prima si pagano gli interessi e poi, se rimangono dei soldi in cassa, si investe.

Vista la situazione attuale dei nostri conti pubblici dove l’avanzo primario (entrate meno spesa corrente) – pur positivo !!  – non è sufficiente a coprire l’onere degli interessi (che sono una montagna di soldi perché lo stock di debito è molto elevato e i tassi di interesse sono da usura)  il nuovo Articolo 81 produce automaticamente l’impossibilità di spendere a deficit né per la spesa corrente (che sarebbe anche giusto) né per gli investimenti (che è molto meno giusto dal momento che gli investimenti servono proprio stimolare la crescita e quindi rendere più sostenibile lo stesso debito sul lungo periodo creando le premessa per una sua progressiva riduzione).

Nei prossimi anni (forse nei prossimi decenni) l'Italia sarà dunque "costretta" (dalla sua stessa Costituzione !!)  a promulgare manovre finanziarie molto dolorose per massimizzare le entrate fiscali e minimizzare la spesa corrente in modo da espandere al massimo l’avanzo primario e coprire con queste risorse tutta la spesa per gli interessi onorando i suoi impegni verso il “mercato”.

Il nuovo Articolo 81 è, insomma, una sorta di “gabbia” per la politica economica nazionale e, allo stesso tempo, una significativa e robusta garanzia di lungo periodo per i nostri creditori cioè per i detentori dei titoli di stato (i grandi fondi speculativi, le grandi banche d’affari)  molti dei quali, recentemente, hanno ricevuto in prestito un trilione di euro dalla BCE al vantaggiosissimo tasso del 1% (operazione LTRO) e con quei soldi si sono messi a fare il giochino del carry trade acquistando i nostri titoli di debito che, grazie alla speculazione sullo spread, sono schizzati a tassi di interesse del 5 o 6 o 7 %, amplificando i rendimenti grazie alla leva finanziaria (vedi: http://piazzaverdi.blogspot.it/2012/01/mutuo-soccorso-tra-banche.html e anche http://piazzaverdi.blogspot.it/2011/12/lequazione-fondamentale-della.html ).

Se il “mercato” è contento (perché lo Stato italiano è diventato un “buon” pagatore di lucrosi interessi) i cittadini italiani lo sono molto meno, avviati, come sono, sul lungo e tortuoso cammino della austerità e del rigore di bilancio senza nessuna “terra promessa” da raggiungere ma solo con la (non dimostrabile) consolazione aver scampato il tanto terribile quanto improbabile default.

E poi vale anche questa ulteriore considerazione: se lo Stato non può più investire a debito, chi farà gli investimenti di cui abbiamo bisogno per avviare la tanto “sbandierata” crescita ?

Se la “crescita” è davvero l’unica ricetta per uscire dalla crisi (come sostengono ogni giorno tutti i guru dell’economia ortodossa di destra e di sinistra) con quali investimenti si può far partire un nuovo ciclo di crescita se lo Stato Nazionale non può più esercitare questo importante ruolo di “stimolo” ?

Gli Stati Nazionali europei hanno perso prima la Sovranità Monetaria cedendola alla BCE che tuttavia non può esercitare il ruolo di Prestatore di Ultima Istanza (i soldi può darli alle banche al 1% ma NON agli Stati !) e adesso stanno perdendo anche la Sovranità sulla Politica Economica dovendo sottostare ad un artificioso e ambiguo “patto di stabilità” che impedisce, di fatto, qualsiasi possibilità di guidare il ciclo economico attraverso i grandi investimenti  pubblici come è sempre avvenuto, in passato, per uscire dalle crisi (quando non è scoppiata la guerra).

L’Articolo 81, infine, impone agli Stati di uscire velocemente dai tanti settori dell’economia reale in cui sono impegnati per fare spazio ai grandi capitali privati i quali, una volta entrati, faranno le LORO politiche economiche con le LORO priorità e con l’unico criterio di massimizzare il LORO profitto non dovendo sottostare a nessun controllo democratico ma solo alle inflessibili leggi del “mercato” (e le virgolette non sono affatto causali).

Tutto questo, a me, suona un po’ inquietante e sento il bisogno di capire di più, di capire meglio.

Per capire dobbiamo alzare lo sguardo e abbracciare almeno il contesto Europeo e, in particolare, ragionare sui recenti indirizzi di politica economica e finanziaria del continente di cui la nostra recente revisione dell’Articolo 81 non è altro che una semplice e meccanica applicazione.

Dobbiamo capire, ad esempio, che cos’è il Fiscal Compact e lo facciamo chiedendo aiuto a Wikipedia e alla rete:

Il Fiscal compact, formalmente Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria, noto anche come Patto di bilancio, è il trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell'unione economica e monetaria che è stato firmato il 2 marzo 2012 da 25 Stati dell'Unione europea.

Esso contiene una serie di regole, chiamate «regole d'oro», che sono vincolanti nell'UE per il principio dell'equilibrio di bilancio. Tutti gli stati membri dell'Unione europea hanno firmato il trattato il 2 marzo 2012 ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca. Il trattato entrerà in vigore il 1º gennaio 2013 se in quel momento almeno dodici membri della zona euro l'avranno ratificato.

I principali punti contenuti nei 16 articoli del trattato sono:

- l'impegno ad avere un deficit strutturale che non deve superare lo 0,5% del PIL e, per i paesi il cui debito è inferiore al 60% del PIL, l'1%;

- ogni stato deve garantire le correzioni automatiche quando non raggiunga gli obiettivi di bilancio concordati ed è obbligato ad agire con scadenze determinate;

- le nuove regole devono essere inserite preferibilmente in norme di tipo costituzionale o comunque nella legislazione nazionale;

- la Corte europea di giustizia verificherà che i paesi che hanno adottato il trattato l'abbiano trasposto nella legislazione nazionale;

- il deficit pubblico, come previsto dal Patto di stabilità e crescita, dovrà essere mantenuto sempre al di sotto del 3% del PIL; in caso contrario scatteranno sanzioni semi-automatiche;

- ci saranno almeno due vertici all'anno dei 17 leader dei paesi che adottano l'euro;

- il trattato intergovernativo entrerà in vigore quando sarà stato ratificato da almeno 12 dei paesi interessati.


Non tutti gli economisti (soprattutto quelli di scuola keynesiana) concordano sui vincoli imposti dal Fiscal compact.

I premi Nobel Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow, in un appello rivolto al presidente Obama, hanno affermato che «Inserire nella costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose»; soprattutto «avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà diminuisce il gettito fiscale e aumentano alcune spese tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno aumentare il deficit, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e del potere di acquisto». Nell'attuale fase dell'economia «è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa già di per sé debole». Nell'appello si afferma che «anche nei periodi di espansione dell'economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica, perché gli incrementi degli investimenti a elevata remunerazione - anche quelli interamente finanziati dall'aumento del gettito - sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari importo. Un tetto vincolante di spesa», poi, «comporterebbe la necessità, in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza».

Critico anche l'economista e premio Nobel Paul Krugman, il quale ritiene che l'inserimento in costituzione del vincolo di pareggio del bilancio, possa portare alla dissoluzione dello stato sociale.

Un'altra “creatura” mitologia partorita dalla fervida immaginazione creatrice della nuova direzione economico/finanziaria dell’Europa è l’ E.S.M. o European Stability Mechanism:


L’ESM è un “meccanismo”, appunto, una sorta di “carrucola finanziaria”, che consente di drenare rapidamente liquidità dagli stati nazionali nel momento in cui uno degli stati membri si trovi nella necessità di accedere a finanziamenti che il mercato non è più disposto ad erogare. L’ ESM è, di fatto, un prestatore di ultima istanza con l’unica differenza che non è una banca centrale e quindi non può creare moneta dal nulla come può fare la BCE, ma può solo “drenare” risorse da tutto il sistema per convogliarle verso la Nazione in difficoltà e con meccanismi automatici, appunto.

L’ESM è una sorta di “FMI europeo”, insomma. E i paesi che richiedono l’intervento del ESM possono ottenere questi finanziamenti solo se hanno aderito al Fiscal Compact (altro punto di collegamento) e solo se sottoscrivono un ferreo impegno a praticare una rigidissima e severissima politica economica dettata dall’ESM per conto dei paesi creditori.

Il collegamento tra Fiscal Compact e ESM è molto stretto perché i due trattati sono complementari e si bilanciano a vicenda, come due piatti di una bilancia in perfetto equilibrio.

Il Fiscal Compact fissa i vincoli della politica di bilancio di ciascun paese (e quindi, indirettamente, della politica fiscale) mentre l’ESM agisce come una sorta di “deus ex machina” per “salvare” paesi che non ce la fanno a rispettare i patti e si avvitano nella spirale del debito fino al punto in cui devono necessariamente ricorrere ad un prestatore di ultima istanza (l’ESM, appunto) che, a quel punto, ha il potere sovrano di imporre qualsiasi politica di risanamento al malcapitato paese scavalcando – di fatto – la sovranità popolare.

Tutto questo è un Piano diabolico ordito alle spalle della popolazione europea ?

Non lo so. Dico solo che dopo aver, di fatto, “ratificato” il Fiscal Compact attraverso la riformulazione dell'Articolo 81, con una maggioranza bulgara e bi-partisan e senza interpellare la volontà popolare attraverso il referendum, il nostro “parlamento” si accinge ora a ratificare anche il trattato dell’ESM.

Per aderire al ESM, l’Italia deve contribuire, complessivamente, per 125 MLD di euro. Nel 2012, da luglio a ottobre, deve versare 5,7 MLD di euro. Dove prenderemo questi soldi ? Semplice: emettendo nuovi titoli di debito, non previsti dal piano annuale delle emissioni e, quindi, andando in deroga al patto di stabilità e, forse, anche all'Articolo 81.

Siamo ancora in tempo per muovere, dal basso, una energica campagna di informazione e pretendere che sia il Popolo sovrano a decidere se aderire o meno a questo trattato dai contorni molto opachi.


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Dal testo del DDL n.3240 (ratifica del MES):

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La disposizione autorizza la contribuzione italiana finalizzata alla sottoscrizione
del capitale per la partecipazione del Meccanismo europeo di stabilità (MES), in attuazione del Trattato istitutivo. La predetta partecipazione è articolata in un apporto iniziale, suddiviso in 5 rate, ciascuna delle quali quantificabile, per l’Italia, in circa in 2,866 miliardi di euro, e in ulteriori apporti a chiamata. Le prime due rate, vista la decisione dei Capi di Stato e di governo dell’Area euro di anticipare al 1º luglio 2012 l’entrata in vigore del Trattato e l’istituzione del MES, dovranno essere versate entro il 2012. Il versamento della prima, in particolare, e` previsto entro il prossimo mese di luglio, mentre la seconda può essere immaginata intorno a settembre-ottobre prossimi. Le risorse necessarie alle quote di contribuzione sono assicurate dal netto ricavo derivante da emissioni di titoli diStato a medio-lungo termine, aggiuntive rispetto a quelle previste nei documenti di finanza pubblica per il triennio 2012-2014. Di conseguenza, tali importi non sono computati nel limite massimo di emissione di titoli di Stato stabilito dalla legge di approvazione del bilancio e nel livello massimo del ricorso al mercato stabilito dalla legge di stabilità. L’emissione dei titoli determina l’esigenza di fronteggiare un maggior fabbisogno in termini di interessi (valutabile per il 2012 prudenzialmente in circa 120 milioni di euro) che potrà essere assorbito dagli attuali stanziamenti a legislazione vigente, tenuto conto del trend dei tassi di interesse. Infatti, il miglioramento dei tassi delle emissioni collocate dall’inizio dell’anno ha già prodotto una riduzione della spesa per interessi (rispetto alle stime ufficiali di inizio dicembre 2011) di oltre 800 milioni di euro in termini di competenza economica SEC e di circa 2 miliardi di euro in termini di
cassa (fabbisogno del settore statale).
Al fine di garantire una sollecita partecipazione al capitale del MES, può essere autorizzato il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, la cui regolarizzazione potrà effettuarsi con l’emissione di ordini di pagamento sul pertinente capitolo di spesa.

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Sandro

sabato 12 maggio 2012

La ricetta di Keynes


Ho scoperto da poco questo interessantissimo "Keynesblog" dedicato alla divulgazione del pensiero Keynesiano


che, tra le altre cose, pubblica in prima pagina questo stupendo "bignami" del Keynesismo


che vi consiglio vivamente di leggere, anzi, di studiare (è un "bignami", quindi si fa in fretta :-).

La ricetta Keynesiana è convincente perchè è semplice ed è "umana".

Quando te la raccontano, ti sembra quasi di vedere l'uovo di Colombo e ti viene da dire: "ma perchè non facciamo così ? Ma cosa stiamo aspettando ?!".

E allora non capisci proprio perchè i fondamenti teorici della costruzione economica europea sono tutti, sistematicamente, duramente, tenacemente anti-Keynesiani.

E ti viene qualche dubbio, anche un po' complottista, lo ammetto.

Se Keynes mette al centro della organizzazione economica il benessere di tutti i cittadini e non gli interessi di pochi privilegiati, perchè l'Europa non è Keynesiana "senza se e senza ma" e, invece, al contrario, ci propone solo rigore e vincoli di bilancio ?

Chiudo questo brevissimo post citando, direttamente da Keynesblog, che ringrazio, le 14 proposte concrete del Keynesismo contro la crisi:

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1) assumere come obiettivo vincolante la riduzione del peso del debito pubblico attraverso la crescita guidata dalla domanda interna e non attraverso i “sacrifici”;
 
2) trasformare la BCE in una vera Banca centrale, con tutti i poteri e doveri che le altre Banche centrali hanno nel mondo, a partire dalla possibilità di emettere moneta per finanziare il debito pubblico, poter prestare direttamente agli Stati, fungere da prestatore di ultima istanza per gli istituti di credito e investendola del dovere di favorire la crescita e non solo controllare l'inflazione;
 
3) trasformare l'Unione europea di una “transfer union” come gli USA, in cui il governo centrale si occupa di sostenere finanziariamente i singoli Stati;
 
4) rilanciare gli investimenti pubblici nella produzione di beni collettivi materiali e
immateriali (infrastrutture, ricerca, tutela ambientale, istruzione, salute), anche utilizzando lo strumento degli Eurobond, cioè i “BOT europei”, così da condividere il rischio del debito pubblico e avere una fonte di finanziamento diretto per i programmi comunitari di sviluppo;
 
5) istituire una vera imposta patrimoniale sia in funzione redistributiva che allo scopo di disincentivare la rendita e indurre invece agli investimenti;

6) favorire chi ha maggiore propensione al consumo, abbassando il carico fiscale sui lavoratori e sul ceto medio;
 
7) istituire una vera tassa sulle transazioni finanziarie e valutarie sul modello proposto da Keynes e James Tobin, una tassa che sia abbastanza elevata da sfavorire le transazioni a breve termine (tendenzialmente speculative) e quindi incentivare gli investimenti a più lunga scadenza;
 
8) favorire la centralizzazione dei capitali, superando l'idea che sia sempre vero che “piccolo è bello”: l'Italia ha invece disperato bisogno di “campioni nazionali” che in questi anni sono spariti o si sono indeboliti;
 
9) d'altro canto in molti casi i distretti industriali italiani non hanno superato la prova della globalizzazione e quindi vanno ripensati in un'ottica di nuova programmazione economica, guardando in particolar modo alle esperienze dei “cluster” negli altri paesi, con un importante ruolo pubblico anche nel trasferimento tecnologico;
 
10) ridare al settore pubblico un ruolo di peso nell'economia, bloccando le privatizzazioni dei servizi pubblici, mettendo al centro l'interesse collettivo e usando le grandi imprese nazionali ancora in mano pubblica come volani per lo sviluppo;
 
11) aumentare considerevolmente la spesa pubblica in ricerca, poiché il tessuto economico italiano è troppo frammentato in microimprese per potersi accollare i costi necessari;
 
12) usare la spesa pubblica per orientare la modernizzazione del sistema produttivo italiano e la sua indipendenza; due esempi concreti sono 

a) l'adozione obbligatoria del software libero nelle pubbliche amministrazioni, non tanto per favorire i risparmi ma soprattutto per stimolare la nascita e la crescita di imprese italiane nel settore, affrancandosi così dalla eccessiva dipendenza verso l'estero, e usando l'Università come laboratorio di innovazione tecnologica per la produzione di software libero come “bene collettivo”; 

b) domanda pubblica di energia verde e stimoli alla ricerca tecnologica e alla produzione nazionale di impianti produttivi di energie pulite;
 
13) combattere la precarietà cancellando molte delle forme contrattuali oggi vigenti e favorendo la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, sia attraverso un contratto di inserimento fortemente orientato alla formazione sia attraverso carichi che rendano antieconomico il ricorso ai contratti diversi dal tempo indeterminato;
 
14) rafforzare e tutelare il potere contrattuale dei lavoratori (in particolar modo attraverso il Contratto nazionale di lavoro) in modo che i salari tendano a risalire per favorire la domanda interna e la crescita.

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lunedì 7 maggio 2012

Dentro la Matrice


“Matrix è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L'avverti quando vai a lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità.”  

(dal film Matrix del 1999 diretto dai fratelli Andy e Larry Wachowski).

A Neo viene offerta la possibilità di conoscere la realtà di Matrix
Lui accetta: ingerisce la pillola rossa e si “risveglia”.

Quanto ti risvegli bruscamente nel letto, di solito è perché hai fatto un brutto incubo. Per Neo e per “noi” il risveglio può invece essere proprio il brutto incubo.

Comprendi di essere un pezzo di un ingranaggio complesso di cui non sei consapevole; la tua libertà è condizionata, vincolata all’accettazione del sistema. Nella tua quotidianità infatti, non ti si chiede di interrogarti sul modello di società in cui vivi, ma solo di decidere tra scelte preordinate e già prefigurate dal sistema, che non possono e – prima di prendere la pillola rossa non ti viene neanche in mente – non devono essere messe  in discussione.

Prima di prendere la pillola rossa per te è normale camminare per le strade e guardare dall’esterno, lo sfoggio delle vetrine con prodotti firmati: gli articoli sono pochi, ma messi con un “tocco di gran classe” . Ogni tanto pensi chi saranno le persone che entrano in quei negozi, perché un solo prodotto equivale o supera il tuo stipendio mensile. Ma pensi che così va il mondo e che non ci sia niente di irregolare.

E’ normale guardare il ragazzo di colore a terra con la stessa merce contraffatta e a basso prezzo e pensare invece che quella  vendita sia irregolare e che non dovresti fermarti perché “se arriva la polizia e ti becca con la borsa in mano dovrai pagare una multa supersalata”.

E’ normale per te circolare con la panda a metano, che magari paghi anche a rate. Se fatichi a pagare bollo e assicurazione, pensi che sia difficile per te, ma che faccia parte delle regole della collettività. Ed è normale guardare i fuoristrada, le  Ferrari, le Lamborghini e le Porche, che  affiancano sulla strada la tua utilitaria, guidate da persone sempre  abbronzate e con quell’inconfondibile stile sportivo. In fondo non c’è anche il proverbio che dice:  c’è chi nasce gazzella e chi nasce leone…?.

E’ normale pensare che farai tutti i sacrifici possibili per andare dal chirurgo luminare per sapere quale intervento devi fare, visto che i medici che hai consultato finora, sono indecisi e ritieni che sia normale sentirti rispondere : “sono 7.000 euro per occhio”. E’ normale sentire che quella prestazione così eccellente  non fa per te ed è normale provare quella piccola fitta al cuore di amarezza. Così come è normale pensare: “purtroppo non me lo posso permettere. Beati quelli che possono”.

E’ normale affacciarti nei porticcioli turistici e vedere motor-yacht da 38, 45, 63 metri. Una volta da ragazza, pensavi appartenessero solo agli emiri dei paesi arabi, invece ora sai che li possiedono anche persone italiane, quelle che hanno più patrimonio. Non c’è invidia nello sguardo, ma ammirazione della bellezza e della maestria dell’armatore.

Tutto questo è normale. Fa parte delle regole del gioco quindi come fai a combattere il sistema, la Matrice ? Prima di prendere la pillola non capisci neanche perché combattere…

La cosa che  ti rattrista a dire il vero è il fatto che, se non accetti di prendere la pillola rossa, ti sembra “anormale” invece una storia come quella che segue.

Si tratta di un medico che si occupa di chirurgia generale, all’interno di una clinica privata. Ti visita in genere abbastanza rapidamente,  ma con grande gentilezza. Un fiume di gente tutti i giorni si trova davanti al suo studio. Paghi la prima visita e lui ti dice “ora provo a curarla io”

Poi vai da lui finchè non guarisci. E Non ti chiede più niente in cambio, tranne la disponibilità a tornare da lui per un po’ una volta alla settimana. 

Le persone che sono fuori in attesa, sono più “pazienti” del normale. Se il dottore fa entrare qualcuno prima del suo turno, la gente in attesa dice: “ne avrà avuto più bisogno”. Si entra e si dice “chi è l’ultimo?”. Lui esce dallo studio e dice “chi visito?” con voce molto calma e tranquilla. Gira da una stanza all’altra, a volte con una iniezione in mano, perché qualcuno va da lui anche per farsi fare delle punture. Tutti dicono: ma quanto è bravo, vedrà si troverà benissimo!.

Non ha la possibilità di dedicarti molto tempo, ma fa tutto con calma e precisione. Del resto la mole di gente non gli consente di prendersi maggiore tempo per ognuno. Ma tutti escono contenti. Ti ha regalato un po’ di quel preziosissimo tempo. 

Mi dice  al volo  che le persone che vanno da lui con ulcere, gastriti, coliti…. sono tantissime tutte le settimane. Anche lui ha avuto tutte queste malattie! Gli rispondo che dovremmo cambiare stile di vita. Mi dice con un sorriso: non è possibile, siamo dentro un anello

Mi fa rabbia pensare che tutto ciò, nelle nostre categorie mentali, possa essere catalogato come non normale, con sospetto, perché fuori dagli schemi.  

“Sarà un vero medico?” “Ci sarà qualcosa sotto?”

Difficile accettare che un medico non voglia ulteriori soldi e che abbia come obiettivo quello di curarti. Che non dica “passi dalla segretaria per il pagamento”. E’ fuori dalla logica della nostra matrice e quindi sicuramente c’è, ci deve essere, del marcio sotto.

Tutto ciò che non si collega al denaro ci sembra ormai un segno quasi inoppugnabile di una anomalia

Eppure questo dottore ed il suo stile,  mi è parso un  piccolo ma significativo antidoto, in grado di attuare delle correzioni al sistema.

Per una volta penso e desidero fortemente che l’eccezione non confermi la regola, ma possa diventare un modello per nuove regole !!

Silvia.

sabato 5 maggio 2012

Oro Nero


Metto qui sotto, in ordine, i links per vedere, in sequenza, il bellissimo speciale di Roberto Olla intitolato "Nero Petrolio", andato in onda il 21 settembre 2010 alle ore 23:30 su Rai Uno.

Si parla di Pasolini e delle tante cose che lui... sapeva sul Petrolio e sul Potere.

Consiglio a tutti di vederlo per iniziare a tracciare qualche collegamento.

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E qui sotto trovate gli interessanti commenti dell'autore (Roberto Olla) 
http://passatopresente.blog.rai.it/index.php?s=IL+PETROLIO+E+PASOLINI&sbutt=Find

martedì 1 maggio 2012

Il Nonno e il Nipote


Lo Stato Italiano mi sembra oggi come un Nipote Imprenditore di terza generazione, che ha ereditato dal Padre e dal Nonno la classica Azienda-Gioiello con un solidissimo stato patrimoniale, con i conti in ordine, con tanti clienti e mercato in espansione, con personale efficiente, soddisfatto e ben pagato.

Il Nonno e il Padre hanno fatto il miracolo. 

L'azienda nata dal nulla subito dopo la guerra e poi - con tanta intelligenza, fatica e determinazione - trasformata in pochi decenni in una potenza industriale capace di far paura ai colossi del mondo.

Il Nipote, invece, ha il solo merito di essere nato nella famiglia giusta: vita nella bambagia, infanzia e giovinezza spensierate, studi nelle migliori scuole con scarsi risultati.

Ad un certo punto muore anche il Padre e il Nipote si ritrova nelle sue mani l'Azienda di famiglia, il gioiello di famiglia, il patrimonio di famiglia.

E iniziano i guai (per l'Azienda e i suoi dipendenti, intendo).

Perchè il Nipote non sa gestire, non prende le decisioni giuste, fa un errore dietro l'altro e pensa solo a mantenere, per lui e i suoi amici, un tenore di vita costantemente al di sopra della media nazionale e, in poco tempo, anche al di sopra delle sue disponibilità.

Perde quote di mercato, perde i clienti.

Perde efficienza.

Inizia a chiudere bilanci in rosso perchè i costi di esercizio e le spese generali sono costantemente più alti dei ricavi, anno dopo anno.

Allora si rivolge alle Banche per avere affidamenti e prestiti.

E le Banche sono ben contente di aiutare il Nipote Imprenditore: come avvoltoi che hanno annusato l'animale ferito, iniziano a svolazzare attorno alla vittima a cerchi sempre più stretti.

E concedono linee di credito, prestiti, affidamenti, senza alcuna difficoltà perchè l'Azienda ha un Patrimonio interessante (terreni, capannoni, macchinari, uffici) che viene messo a garanzia del debito.

Ma il Nipote (sprovveduto e incapace) non si rimette in riga: continua a gestire l'azienda con i piedi e i prestiti delle Banche non vengono utilizzati per allontanarsi dal baratro ma solo per prolungare l'agonia.

E quando i debiti arrivano a scadenza il Nipote non sa come rimborsarli.

Quindi chiede altri prestiti per rimborsare i prestiti pregressi e si carica di interessi passivi che incombono sulla Azienda (e sui suoi dipendenti) come una ghigliottina, come una bomba ad orologeria.

E le Banche concedono, concedono.... mollano ancora il filo come fa un pescatore quando sente che il pesce ha appena abboccato, cedono ancora un po' senza strappare subito per fare in modo che l'amo si conficchi per bene nella bocca del pesce e non si possa più staccare.

Finchè arriva il momento della verità: la "crisi".

E nella "crisi" (notare le virgolette, per cortesia) le Banche smettono di essere "buone" e "generose", si sa, e hanno le loro buone ragioni per farlo.

Prima concedono prestiti a tassi sempre crescenti poi chiudono proprio i cordoni della borsa e pretendono il rientro sui debiti pregressi. 

Insomma: iniziano a tirare il filo avvolgendolo rapidamente sul mulinello per estrarre il pesce dall'acqua e metterlo finalmente nel sacco.

Il Nipote non ha (più) soldi liquidi per pagare le banche e quindi ... inizia a licenziare, poi inizia a vendere pezzi della azienda, poi - alla fine - si rassegna e cede il controllo della società alle Banche creditrici che - non potendo essere ripagate - diventano proprietarie in solido.

Le Banche entrano e hanno come unico scopo quello di liquidare e fare cassa: quindi: dismissioni, "spezzatini", cessioni di rami d'azienda, vendita dei terreni, dei fabbricati, dei macchinari. 

In una parola: la liquidazione di tutto il patrimonio accumulato faticosamente negli anni dal Nonno e dal Padre, fallimento controllato, licenziamento in massa di tutto il personale.

Fuor di metafora...

Ricordiamoci com'era lo Stato Imprenditore dei nostri Nonni, subito dopo la guerra, negli anni Cinquanta e Sessanta.

Ricordiamoci lo Stato di Enrico Mattei quando l'Italia faceva paura alle sette sorelle dell'energia e l'ENI era una delle più importanti e solide aziende del Mondo e depositava, ogni anno, dei ricchi dividendi nelle casse del Tesoro italiano.

Era lo Stato dei nostri nonni, allora, a gestire il gioiellli di famiglia (l'Italia) non i "privati" e le Banche.

Era lo Stato Imprenditore che ha fatto crescere l'Italia come oggi cresce la Cina.

Oggi come siamo messi ? 

Abbiamo subito 20 anni di governo del "Nipote" che si è mangiato tutto ed ora assistiamo, impotenti, alla incursione delle Banche che puntano dritto al nostro Patrimonio.

Dismissioni, Liberalizzazioni, Privatizzazioni... questo è il mantra.

E questa cosa ce la vendono come il nostro "bene" perchè così riduciamo finalmente l'enorme debito accumulato e possiamo finalmente riemergere.

Quindi basta con le imprese pubbliche, lo Stato deve farsi da parte perchè è - per definizione - sprecone e incapace.

Lo Stato deve uscire dall'economia reale e ritagliarsi solo il ruolo di "regolatore" per fare spazio ai privati e alle Banche che, invece, la sanno lunga e sono (loro si) efficienti per definizione.

Bene, io non ci sto.

Io dico che se il Nipote, oggi, è incapace bisogna trovare il modo per rimettere al potere la saggezza del Nonno e non mandare tutto in malora.

Dico che se l'Italia di Mattei funzionava e cresceva e gli italiani di allora, erano pieni di speranze per il loro futuro e non sempre più angosciati come sono oggi, il merito era proprio dello Stato Imprenditore che sapeva fare l'imprenditore e sapeva fare lo Stato.

E se lo sapeva fare allora non mi rassegno all'idea che non lo possa fare più.

Prima che le Banche facciano razzia del patrimonio aziendale (del Patrimonio Italiano, del Nostro Patrimonio) è opportuno che i "Dipendenti" (i cittadini) si sveglino dal coma e, con un improvviso scatto d'orgoglio, si organizzino democraticamente e riprendano in mano l'azienda di famiglia sottraendola alla sua lenta agonia e alla rapacità dei grandi finanziatori.

Se non ora, quando ?

Se non noi, chi ?