martedì 1 maggio 2012

Il Nonno e il Nipote


Lo Stato Italiano mi sembra oggi come un Nipote Imprenditore di terza generazione, che ha ereditato dal Padre e dal Nonno la classica Azienda-Gioiello con un solidissimo stato patrimoniale, con i conti in ordine, con tanti clienti e mercato in espansione, con personale efficiente, soddisfatto e ben pagato.

Il Nonno e il Padre hanno fatto il miracolo. 

L'azienda nata dal nulla subito dopo la guerra e poi - con tanta intelligenza, fatica e determinazione - trasformata in pochi decenni in una potenza industriale capace di far paura ai colossi del mondo.

Il Nipote, invece, ha il solo merito di essere nato nella famiglia giusta: vita nella bambagia, infanzia e giovinezza spensierate, studi nelle migliori scuole con scarsi risultati.

Ad un certo punto muore anche il Padre e il Nipote si ritrova nelle sue mani l'Azienda di famiglia, il gioiello di famiglia, il patrimonio di famiglia.

E iniziano i guai (per l'Azienda e i suoi dipendenti, intendo).

Perchè il Nipote non sa gestire, non prende le decisioni giuste, fa un errore dietro l'altro e pensa solo a mantenere, per lui e i suoi amici, un tenore di vita costantemente al di sopra della media nazionale e, in poco tempo, anche al di sopra delle sue disponibilità.

Perde quote di mercato, perde i clienti.

Perde efficienza.

Inizia a chiudere bilanci in rosso perchè i costi di esercizio e le spese generali sono costantemente più alti dei ricavi, anno dopo anno.

Allora si rivolge alle Banche per avere affidamenti e prestiti.

E le Banche sono ben contente di aiutare il Nipote Imprenditore: come avvoltoi che hanno annusato l'animale ferito, iniziano a svolazzare attorno alla vittima a cerchi sempre più stretti.

E concedono linee di credito, prestiti, affidamenti, senza alcuna difficoltà perchè l'Azienda ha un Patrimonio interessante (terreni, capannoni, macchinari, uffici) che viene messo a garanzia del debito.

Ma il Nipote (sprovveduto e incapace) non si rimette in riga: continua a gestire l'azienda con i piedi e i prestiti delle Banche non vengono utilizzati per allontanarsi dal baratro ma solo per prolungare l'agonia.

E quando i debiti arrivano a scadenza il Nipote non sa come rimborsarli.

Quindi chiede altri prestiti per rimborsare i prestiti pregressi e si carica di interessi passivi che incombono sulla Azienda (e sui suoi dipendenti) come una ghigliottina, come una bomba ad orologeria.

E le Banche concedono, concedono.... mollano ancora il filo come fa un pescatore quando sente che il pesce ha appena abboccato, cedono ancora un po' senza strappare subito per fare in modo che l'amo si conficchi per bene nella bocca del pesce e non si possa più staccare.

Finchè arriva il momento della verità: la "crisi".

E nella "crisi" (notare le virgolette, per cortesia) le Banche smettono di essere "buone" e "generose", si sa, e hanno le loro buone ragioni per farlo.

Prima concedono prestiti a tassi sempre crescenti poi chiudono proprio i cordoni della borsa e pretendono il rientro sui debiti pregressi. 

Insomma: iniziano a tirare il filo avvolgendolo rapidamente sul mulinello per estrarre il pesce dall'acqua e metterlo finalmente nel sacco.

Il Nipote non ha (più) soldi liquidi per pagare le banche e quindi ... inizia a licenziare, poi inizia a vendere pezzi della azienda, poi - alla fine - si rassegna e cede il controllo della società alle Banche creditrici che - non potendo essere ripagate - diventano proprietarie in solido.

Le Banche entrano e hanno come unico scopo quello di liquidare e fare cassa: quindi: dismissioni, "spezzatini", cessioni di rami d'azienda, vendita dei terreni, dei fabbricati, dei macchinari. 

In una parola: la liquidazione di tutto il patrimonio accumulato faticosamente negli anni dal Nonno e dal Padre, fallimento controllato, licenziamento in massa di tutto il personale.

Fuor di metafora...

Ricordiamoci com'era lo Stato Imprenditore dei nostri Nonni, subito dopo la guerra, negli anni Cinquanta e Sessanta.

Ricordiamoci lo Stato di Enrico Mattei quando l'Italia faceva paura alle sette sorelle dell'energia e l'ENI era una delle più importanti e solide aziende del Mondo e depositava, ogni anno, dei ricchi dividendi nelle casse del Tesoro italiano.

Era lo Stato dei nostri nonni, allora, a gestire il gioiellli di famiglia (l'Italia) non i "privati" e le Banche.

Era lo Stato Imprenditore che ha fatto crescere l'Italia come oggi cresce la Cina.

Oggi come siamo messi ? 

Abbiamo subito 20 anni di governo del "Nipote" che si è mangiato tutto ed ora assistiamo, impotenti, alla incursione delle Banche che puntano dritto al nostro Patrimonio.

Dismissioni, Liberalizzazioni, Privatizzazioni... questo è il mantra.

E questa cosa ce la vendono come il nostro "bene" perchè così riduciamo finalmente l'enorme debito accumulato e possiamo finalmente riemergere.

Quindi basta con le imprese pubbliche, lo Stato deve farsi da parte perchè è - per definizione - sprecone e incapace.

Lo Stato deve uscire dall'economia reale e ritagliarsi solo il ruolo di "regolatore" per fare spazio ai privati e alle Banche che, invece, la sanno lunga e sono (loro si) efficienti per definizione.

Bene, io non ci sto.

Io dico che se il Nipote, oggi, è incapace bisogna trovare il modo per rimettere al potere la saggezza del Nonno e non mandare tutto in malora.

Dico che se l'Italia di Mattei funzionava e cresceva e gli italiani di allora, erano pieni di speranze per il loro futuro e non sempre più angosciati come sono oggi, il merito era proprio dello Stato Imprenditore che sapeva fare l'imprenditore e sapeva fare lo Stato.

E se lo sapeva fare allora non mi rassegno all'idea che non lo possa fare più.

Prima che le Banche facciano razzia del patrimonio aziendale (del Patrimonio Italiano, del Nostro Patrimonio) è opportuno che i "Dipendenti" (i cittadini) si sveglino dal coma e, con un improvviso scatto d'orgoglio, si organizzino democraticamente e riprendano in mano l'azienda di famiglia sottraendola alla sua lenta agonia e alla rapacità dei grandi finanziatori.

Se non ora, quando ?

Se non noi, chi ?

5 commenti:

  1. In particolare, ascoltate bene QUESTO pezzo dell'intervento di Livigni

    http://www.youtube.com/watch?list=ULlD_qRPGf0ug&feature=player_detailpage&v=lD_qRPGf0ug

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  2. La metafora è calzante e il ragionamento ineccepibile. A dire il vero a gestire male l'azienda cominciò il padre: il nipote sta solo facendo peggio.Ma questo è solo il mio punto di vista e non modifica punto la conclusione.
    Sono daccordo con te che il pubblico non è sinonimo di inefficienza come il privato non è sempre l'eccellenza. Si sono visti miserie e squallori nell'uno e nell'altro campo.
    Ma in tutta verità dico che a parità d'inefficienza preferisco il pubblico:tanto ormai è patente che ad essere "privato" è solo il profitto mentre le perdite sono solo e sempre pubbliche grazie alla magica formula del " too big to fail".
    Detto ciò ribadisco che sull'analisi siamo più o meno daccordo e che le differenze sono superficiali e non di fondo.
    Sono anche daccordo che è giunta l'ora di agire e che tocca a noi cittadini fare uno scatto d'orgoglio. Ma come? In che modo? Da dove si comincia?
    Supponiamo, per ironia della sorte, che tu Sandro ,e tu Carlo,e tu Silvia ed infine io si venga scelti come ministri in un governo tecnico e che ,ciliegina sulla torta, non avessimo il fastido di sottoporre i nostri provvedimenti al vaglio del parlamento: cosa faremmo? Da dove cominceremmo?

    E' chiaro che la mia è una battuta: ma fino a un certo punto; dietro si cela il proposito e l'invito a passare oltre. A cominciare cioè a formulare delle proposte. A delineare il modo e il mezzo per il cambiamento, per il "New Deal".
    Un saluto a tutti.

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  3. Caro Giuseppe, prima di tutto ti invito ad ascoltare bene il quarto video della conferenza tenuta da Li Vigni sulla storia di Mattei e dell'Eni.

    Parla del 1992 / 94, della fine dello Stato Imprenditore ad opera dei grandi predatori della finanza speculativa.

    Si parla dell'inizio della fine, di quel "cambio di generazione" (da padre a figlio/nipote) che ha iniziato a sfasciare tutto per privatizzare gli utili e socializzare le perdite, come dici tu.

    Se io fossi ministro (assieme a voi tre) non avrei grossi dubbi: inizierei da un pacchetto di leggi contro la speculazione, a partire dalla Tobin Tax, per intenderci e dalla netta separazione tra Banche commerciali e Banche d'affari (speculative).

    Il libro di Luciano Gallino, Finanzcapitalismo, dopo una lucida ed accurata analisi dei disastri procurati dalla finanza predatoria, nel mondo, chiude con un ultimo capitolo di proposte, concrete, concretissime.

    Ecco, partirei da li, adottando quelle proposte come Programma di Governo.

    Luciano Gallino è tra i firmatari del Manifesto per un Soggetto Politico Nuovo che, il 28 aprile, ha iniziato il suo percorso con una assemblea fondativa.

    Ecco il link:

    http://www.soggettopoliticonuovo.it/

    Ci buttiamo anche noi ?

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  4. Per me la deriva cominciò con la crescita smisurata del debito pubblico. Quando cademmo tutti nell'illusione che si potesse dare tutto a tutti: per esempio le pensioni dopo solo 15 anni e un giorno! Eravamo negli anni 80 e forse anche prima. Ma non ha importanza. Ripeto, non modifica di un ette l'analisi, la sostanza.
    Sono daccordo sulla separazione tra banche d'affari e banche commerciali. Sulla Tobin tax ci ha provato anche Tremonti ma ha avuto contro diversi paesi tra cui L'Inghilterra. E non si può dare torto a coloro che sostengono l'inattuabilità della tassa senza l'adesione di quasi tutti i paesi e in particolar modo di quelli maggiori.
    E veniamo alla parte più importante: se fossimo ministri.
    Se fossi ministro comincerei dalla disoccupazione con particolarissima attenzione a quella giovanile.
    Ma siccome ministro non lo sono nè mai lo sarò voglio spendere le mie energie in un movimento, possibilmente transnazionale, che propugni non un programma di governo , sia pure ambizioso e condivisibile,ma un principio elementare, fondamentale, improrogabile,inderogabile: l'OCCUPAZIONE per tutti con o senza la crescita. La crescita,ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, nei paesi sviluppati è una variabile indipendente, non la si ottiene con i decreti e men che meno può promuoverla un singolo paese durante un ciclo economico negativo. Ma il diritto al lavoro, a una dignità e soprattutto a un futuro è, dovrà essere di tutti e per tutti.
    Su questo principio, credimi Sandro, sono prontissimo a imbracciare il "forcone".
    S'incentivino le imprese ad assumere;s i riduca l'orario di lavoro per tutti per far posto a chi un lavoro non ce l'ha; si tolga a chi ne ha di più; si costituisca un fondo permanente da cui attingere durante le recessioni... ma si faccia il possibile e l'impossibile perchè nessuno, dico nessuno, in questa società "opulenta" rimanga sotto il desco con la mano tesa aspettando che cadano le briciole. Non è tollerabile. Non più.
    E' questo in sostanza la mia idea,il mio desiderio. Un movimento transnazionale she si batta per non per dare l'elemosima a chi perde il lavoro o peggio a chi un lavoro non l'ha mai avuto ma perchè tutti possano averne uno e con esso la dignità e un futuro.
    Ti saluto Sandro e spero che intorno al "che fare?" si sviluppi un fecondo confronto.

    Ps. Io mi sono buttato: ho aderito al Manifesto.

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    1. Ciao Giuseppe !
      Uso il blog per scriverti dato che non conosco il tuo indirizzo di e-mail.
      Io e Carlo abbiamo iniziato a seguire le attività di ALBA a Bologna, abbiamo partecipato alla prima assemblea e ci siamo inseriti nei gruppi di lavoro.
      Potremmo unire l'utile al "dilettevole" e far coincidere il nostro incontro di piazzaverdi con gli incontri di Alba.
      Quindi ti propongo di ANNULLARE la nostra ipotesi di incontro per il 19 maggio e di unirci al prossimo incontro di ALBA.
      Se ti interessa, mandami una e-mail a sandro.cacciamani(at)gmail.com così registro il tuo recapito e ti comunico la prossima data utile.
      Ok ?

      Ciao,
      Sandro.

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