lunedì 16 gennaio 2012

Sul lavoro non si specula (più)


Ieri sera ho visto un film che consiglio agli amici di Piazzaverdi.

Il film è "L'industriale", regia di Giuliano Montaldo.

E' la storia di un giovane industriale alla guida di una piccola azienda che produce pannelli fotovoltaici di tecnologia innovativa, ereditata dal padre, meridionale emigrato al Nord e che ha creato dal nulla quell'azienda, con il solo bagaglio della sua creatività. L'azienda ora si trova in una crisi gravissima, praticamente ha pochi mesi di vita, non ci sono più soldi per pagare gli stipendi, non si vede un futuro.

Il giovane imprenditore però non vuole chiudere, non vuole mandare a casa i "suoi" operai, e allora va a chiedere aiuto alla Banca, convinto che le Banche servano, o dovrebbero servire, "anche" per dare crediti alle imprese in difficoltà, e per dare stimolo allo sviluppo.

E la sua impresa dà lavoro a 70 famiglie, da tanti anni. Tanti anni in cui ha creato sviluppo, innovazione, fatto "crescere" il paese.
Ma il Capo della Banca il credito invece non glielo concede, sostenendo la mancanza di garanzie sufficienti. Il Curriculum dell'azienda non conta, il fatto che sia capace di "innovare" non conta, men che meno che ci possano essere famiglie che finiscono in mezzo ad una strada.

Non serve andare oltre nel racconto, anche per rispetto di quelli che andranno a vedere il film, però ripensando a questa storia non ho potuto non associarla alla notizia di ieri del declassamento dell'Italia e di altri paesi europei, ad opera dell'agenzia di rating Standard & Poor's.

Mi è venuto in testa questo pensiero:

a) da un lato abbiamo un sistema bancario che non dà più "ossigeno" alle imprese (qualcuno mi sa spiegare dove hanno messo le banche i 500 miliardi di euro che la BCE ha sganciato loro all'1% di interesse ? Il "popolo" mica l'ha capito !), preferisce farle morire, impedendo quindi la "Crescita" e lo Sviluppo,

b) dall'altro i portavoci del mondo della finanza declassano i paesi anche perchè non garantiscono, con le loro "politiche", esattamente quella Crescita che ritengono necessaria.

Cioè: da una parte si predica di Crescita come strumento necessario per dare fiducia ai mercati, dall'altro si agisce perchè questa Crescita non si crei.
Ma allora io faccio fatica a capire...
Come fa a far crescere un Paese se non si "finanzia" il lavoro e l'innovazione ?

Non sarà invece che le Banche non danno più credito alle imprese perchè in realtà preferiscono altri metodi per fare profitti ? Metodi molto meno rischiosi ? Non sarà che la produzione di beni attraverso il lavoro, fulcro dell'economia reale, non è più interessante per il "mercato" finanziario ?


In realtà, per il "mercato", i "soldi" si fanno molto meglio con lo strumento della speculazione, piuttosto che alimentando il lavoro. 

Date queste premesse, temo che le manovre economiche dei Paesi (in Italia abbiamo visto ben quattro manovre negli ultimi 12 mesi) servano solo per traghettare dei soldi ai finanzieri senza alcuno sforzo (per loro, non certo per i cittadini che si dissanguano per soddisfare la loro fame inesauribile...), non certo per far crescere i paesi stessi (credo che l'analisi del dott. Fitoussi, leggi ad esempio qui, sia totalmente condivisibile).


Non sarebbe ora di cambiare rotta ?

1 commento:

  1. La risposta alla domanda è nella domanda medesima.
    Le banche hanno perso da decenni la loro vocazione alla crescita economica del territorio cui sono legate, decidendo di "internazionalizzarsi".
    Internaziolizzando, di fatto, il capitale e gli azionisti, ma anche i rischi di sistema.

    Tuttavia, se le banche sono società per azioni, qual è il fine ultimo del loro operare?
    Semplice. Creare utili per gli azionisti.
    Come, poi, questi sono creati conta relativamente oramai.
    Si è così perso quello stretto legame che teneva saldo un istituto di credito ai piccoli e medi imprenditori.

    Una volta tra queste persone e i direttori di banca c'era un rapporto vis a vis. Ogni direttore coscienzioso si assumeva personalmente il rischio di concedere un prestito ad un'azienda che richiedeva un finanziamento per lavorare.
    Oggi si controlla, come hai ben detto, il conto economico e lo stato patrimoniale. Non si investe su un'idea pur se futuribile, ma che comporta rischi troppo grossi di insolvibilità nel breve periodo.

    Se a ciò cui siamo arrivati, si aggiunge la constatazione che per i banchieri l'azzardo morale non si paga mai - tanto, dicono, siamo troppo grandi per fallire e, nel caso, a sanare le nostre perdite ci pensano lo Stato e/o la BCE, c'è poco per cui sperare. Purtroppo.

    In tale contesto, chi è quel "folle" che si mette a investire nella crescita e nell'innovazione, quando può decidere di impiegare i soldi in attività collaterali che comportano vantaggi immediati e ben più remunerativi? Penso, giusto a titolo d'esempio, a quelle banche tedesche e francesi (già, proprio loro!) che per anni hanno speculato bellamente sui titoli greci. Ora che si ritrovano con l'acqua alla gola, invocano mamma Stato e zia BCE per aiutarle!

    Giusto oggi, parlavo con una persona che a metà del 2007 aveva investito una ingente somma in azioni Unicredit.
    Bene. Nonostante i suoi titoli si siano svalutati di oltre il 90% in 5 anni, rimane ancora convinto che questo sia dovuto all'agire del libero mercato (sic!) e che, prima o poi - tecnicamente, nel lungo periodo -, recupererà un po' sull'investimento.
    Per quanto mi sia sforzato di argomentare, facendogli presenti molti dei punti che proprio su questo blog si dibattono, non c'è stato verso nè di persuaderlo, nè tantomeno di smuoverlo un po'.

    In definitiva, se un piccola azionista di una grossa banca, fa questo tipo di ragionamenti... beh, non starò certo a meravigliarmi dei comportamenti di chi le banche le governa di fatto.

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