domenica 23 settembre 2012

Fatti nostri

Fermata del bus

Mi avvicino con passo rapido alla fermata del bus. Lo prendo raramente, ma quando lo faccio, non riesco quasi mai ad arrivare al momento giusto: o è in ritardo, o è appena passato, oppure ho perso, come al solito, la notizia del programmato sciopero. Così procedo a passo rapido, pronta, almeno nelle intenzioni, a fare uno scatto finale.

Alla fermata è seduto un ragazzo forse pakistano, una signora intorno ai sessanta anni e una ragazza, apparentemente, universitaria.

Mi metto sul bordo del marciapiede perché mi sembra di avere già intravisto il bus, ma è un falso allarme. Ho già in mano le monete per il biglietto e le muovo tra le dita. Mi cade una moneta. La ragazza di fronte a me si china per raccoglierla. Mi chino anch’io, ma visto che stiamo per scontrarci, mi faccio indietro con il busto, per consentirle di terminare l’azione. La ringrazio. Subito dopo, mi cade la seconda moneta. La raccolgo velocemente per superare l’imbarazzo della goffaggine..

La signora nel frattempo chiede al ragazzo, seduto sulla panchina della fermata, di spostarsi un poco, perché deve leggere gli orari dell’autobus, che sono attaccati proprio dietro di lui. Le chiedo quanto manca, mi risponde “sei minuti”. Il ragazzo dice: “quello di ventidue passato”. “Ah è già passato? dice la signora”. La ragazza dice “deve arrivare quello dei ventinove”.

La signora perplessa “ma il ragazzo ha detto che è già passato”. E lui “quello di ventidue passato”. “Ah… non avevo capito, non si capisce mai bene quando parlano loro..”. La ragazza mi guarda: ha l’occhio impavido e pieno di certezze della giovinezza, pronta a combattere di fronte alle ingiustizie.

Provoca:  “loro chi i maschi?”. “No loro, loro…”, “ah quelli che hanno la pelle scura”, “ma no cosa centra? Io non ce l’ho con quelli che hanno la pelle scura, ma siccome siamo in Italia, devono imparare bene l’italiano, io non ce l’ho con nessuno, siamo tutti cristiani… no?, “E che male c’è se parlano nella loro lingua?” “Io non li capisco quando parlano tra loro così, potrebbero anche parlare male di me… e comunque siamo tutti cristiani, io rispetto tutti, basta che ci sia il rispetto… cosa dici tu?” dice la signora rivolta al ragazzo. “io non fare male a nessuno, sono musulmano, ma rispetto tutti, cristiani, buddisti, cinesi… io però musulmano”. 

“Certo fai bene…musulmano certo”. Tutti e tre, ogni tanto mi guardano, ognuno con le proprie certezze, alla ricerca nel mio sguardo, dell’assenso. Alla ricerca di conferme ai propri pensieri, alle etichette, con le quali vedono il mondo. Mi giro indietro e vedo arrivare il bus.  Mentre saliamo la ragazza dice “che razzismo…”.  

Dentro il bus mi appoggio attaccata al finestrino. Ci sono persone, bambini, giovani, adulti e anziani di diversa etnia e lingua. Viaggiamo tutti verso la stessa destinazione. Non posso fare a meno di pensare che  i cambiamenti sociali sono molto più veloci della nostra capacità di cambiare il nostro punto di vista.


Riunione Sindacale

C’è l’assemblea sindacale in previsione del prossimo sciopero. Faccio sempre un po’ fatica a partecipare alle assemblee, perché il mio contratto part time mi sta un po’ stretto e se voglio portare a termine i lavori che ho programmato, devo procedere ad una certa velocità.

Questa volta però sento che devo andare. Devo interrompere la corsa del quotidiano e sentire direttamente che cosa si sta pensando di fare come strategia di protesta, per fare sentire che le cose devono cambiare. Convinco anche una collega, più oberata di lavoro di me, a venire. Con queste buone intenzioni entro nell’aula. E’ una assemblea che accoglie il personale di più comuni e delle cooperative sociali di questi territori.

Di solito le assemblee sono distinte, ma questa volta la scelta cade nella condivisione unitaria dei pensieri che precedono la protesta.

Di solito c’è sempre un nemico-responsabile che si evidenzia rapidamente. Il governo prima di tutto, ma anche i sindaci o i direttori generali. Di solito chi convoca parla, qualcuno  fa qualche timido intervento, o una battuta, o un intervento da militante.

Questa volta parlano in tre, i primi due abbastanza rapidamente spiegando le ultime scelte da parte delle diverse amministrazioni e le ricadute della Spending Review sui tagli e sulle dotazioni organiche degli enti pubblici. I toni sono comunque piuttosto calmi e pacati in un clima sotteso di intesa con la platea. 

La terza persona inizia a parlare con forza e veemenza. Grida “ a chi non parteciperà allo sciopero grido VERGOGNA, perché sono persone parassite, che si approfittano della lotta che fanno gli altri!”. Poi, inizia una analisi, almeno apparentemente, molto complessa, della situazione socio-politica ed economica attuale e sulla origine della crisi…

 “Qualcuno dice che è l’euro ma non è vero… se tornassimo alla lira, noi che importiamo l’80% della nostra produzione saremmo già con le pezze nel sedere”.
Quando si portano le percentuali si ha sempre un po’ più di verità in mano.

“Il vero problema è che non abbiamo un piano di produzione industriale: noi produciamo solo la Fiat. Chi di voi ha la Fiat?”

Penso alla mia modesta Panda parcheggiata di fuori e mi faccio piccola piccola. “Sono macchine obsolete che non compra più nessuno. E poi produciamo armi. Ecco macchine obsolete ed armi questo è il nostro piano industriale. 
 Dobbiamo guardare cosa accade nel mondo, c’è chi governa con la forza delle armi come gli Stati Uniti e chi governa con l’esportazione del lavoro come la Cina”.  La platea è in fermento. E’ un po’ stordita dal tono dell’intervento. C’è chi rumoreggia. 

“… Oggi si torna a meno stato e più mercato. Non basta più l’esternalizzazione”. Ci sono le cooperative presenti… quindi il discorso stona un po’. “Adesso si passerà al privato privato…. La maggiore produttività, e lo sappiamo,  significa ti pago di meno e lavori di più”. Plauso collettivo.

“Se vuoi qualità devi fare investimenti e storicamente li hanno sempre fatti gli enti pubblici…. L’Argentina non ha pagato il debito pubblico…”.

E’ un discorso in cui c’è tutto. Ricostruzione storica, economica, politica. Concetti che si concatenano in un apparente linea di causa-effetto, lanciati in aria con forza ed energia.

Subito dopo parla una collega. Si è sentita mortificata dal tono dell’intervento. Si aspettava di essere informata dei motivi dello sciopero ed invece ha dovuto ascoltare un comizio politico non richiesto. “non che non sia d’accordo sui contenuti. Ma i modi? E le parole… su quei modi non sono proprio d’accordo e temo che ascoltare questi toni, faccia desistere le persone dall’idea dello sciopero”.

Modi e contenuti. Interviene un’altra persona: “Io sono solo una persona che ha fatto l’Istituto Tecnico e non so parlare bene come te che hai fatto il Liceo, però se parliamo di India e Cina e Argentina, io mi spavento. E’ tutto troppo grande e incombente e io non sono in grado di agire. Pensiamo al locale. Facciamo volantini di fronte ai nostri uffici, coinvolgiamo le persone direttamente, così capiranno…”.

La collega di fianco a me mi dice “quando ascolto queste persone, capisco che sono tutti così informati e competenti. Mi sento veramente ignorante”. Io condivido in parte, sento che si può andare oltre… La realtà ha sfaccettature ulteriori che non sono emerse.

Ma come ci formiamo le nostre idee sul mondo? Dovremmo ascoltare continuamente dibattiti, leggere, studiare, individuare fonti certe e sicure. Le cose da sapere sono tante, il tempo è poco e la nostra società e superspecialistica. Per ogni tesi troviamo subito la sua antitesi. Siamo nell’epoca del relativismo e del pensiero debole.

Eppure è molto rassicurante avere in tasca un’idea sul mondo,  ed è quindi facile il rischio di sposare una tesi solo perché  si appartiene ad una categoria, (operai, impiegati, di destra, di sinistra, intellettuali, borghesi, uomini, donne, ecc), confidando che quei semplici nessi, che ci hanno descritto con tanta forza, trovino anche il supporto dei dati concreti.

Esco dall’assemblea con questa pesante incertezza e con la fatica di una mente che non si accontenta più di pregiudizi e facili slogan. I neuroscienziati dicono : “tutta colpa della neocorteccia, la parte più recente del cervello”. 

Meno male che cercando bene, un nemico si trova sempre!


Silvia.

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