sabato 12 maggio 2012

La ricetta di Keynes


Ho scoperto da poco questo interessantissimo "Keynesblog" dedicato alla divulgazione del pensiero Keynesiano


che, tra le altre cose, pubblica in prima pagina questo stupendo "bignami" del Keynesismo


che vi consiglio vivamente di leggere, anzi, di studiare (è un "bignami", quindi si fa in fretta :-).

La ricetta Keynesiana è convincente perchè è semplice ed è "umana".

Quando te la raccontano, ti sembra quasi di vedere l'uovo di Colombo e ti viene da dire: "ma perchè non facciamo così ? Ma cosa stiamo aspettando ?!".

E allora non capisci proprio perchè i fondamenti teorici della costruzione economica europea sono tutti, sistematicamente, duramente, tenacemente anti-Keynesiani.

E ti viene qualche dubbio, anche un po' complottista, lo ammetto.

Se Keynes mette al centro della organizzazione economica il benessere di tutti i cittadini e non gli interessi di pochi privilegiati, perchè l'Europa non è Keynesiana "senza se e senza ma" e, invece, al contrario, ci propone solo rigore e vincoli di bilancio ?

Chiudo questo brevissimo post citando, direttamente da Keynesblog, che ringrazio, le 14 proposte concrete del Keynesismo contro la crisi:

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1) assumere come obiettivo vincolante la riduzione del peso del debito pubblico attraverso la crescita guidata dalla domanda interna e non attraverso i “sacrifici”;
 
2) trasformare la BCE in una vera Banca centrale, con tutti i poteri e doveri che le altre Banche centrali hanno nel mondo, a partire dalla possibilità di emettere moneta per finanziare il debito pubblico, poter prestare direttamente agli Stati, fungere da prestatore di ultima istanza per gli istituti di credito e investendola del dovere di favorire la crescita e non solo controllare l'inflazione;
 
3) trasformare l'Unione europea di una “transfer union” come gli USA, in cui il governo centrale si occupa di sostenere finanziariamente i singoli Stati;
 
4) rilanciare gli investimenti pubblici nella produzione di beni collettivi materiali e
immateriali (infrastrutture, ricerca, tutela ambientale, istruzione, salute), anche utilizzando lo strumento degli Eurobond, cioè i “BOT europei”, così da condividere il rischio del debito pubblico e avere una fonte di finanziamento diretto per i programmi comunitari di sviluppo;
 
5) istituire una vera imposta patrimoniale sia in funzione redistributiva che allo scopo di disincentivare la rendita e indurre invece agli investimenti;

6) favorire chi ha maggiore propensione al consumo, abbassando il carico fiscale sui lavoratori e sul ceto medio;
 
7) istituire una vera tassa sulle transazioni finanziarie e valutarie sul modello proposto da Keynes e James Tobin, una tassa che sia abbastanza elevata da sfavorire le transazioni a breve termine (tendenzialmente speculative) e quindi incentivare gli investimenti a più lunga scadenza;
 
8) favorire la centralizzazione dei capitali, superando l'idea che sia sempre vero che “piccolo è bello”: l'Italia ha invece disperato bisogno di “campioni nazionali” che in questi anni sono spariti o si sono indeboliti;
 
9) d'altro canto in molti casi i distretti industriali italiani non hanno superato la prova della globalizzazione e quindi vanno ripensati in un'ottica di nuova programmazione economica, guardando in particolar modo alle esperienze dei “cluster” negli altri paesi, con un importante ruolo pubblico anche nel trasferimento tecnologico;
 
10) ridare al settore pubblico un ruolo di peso nell'economia, bloccando le privatizzazioni dei servizi pubblici, mettendo al centro l'interesse collettivo e usando le grandi imprese nazionali ancora in mano pubblica come volani per lo sviluppo;
 
11) aumentare considerevolmente la spesa pubblica in ricerca, poiché il tessuto economico italiano è troppo frammentato in microimprese per potersi accollare i costi necessari;
 
12) usare la spesa pubblica per orientare la modernizzazione del sistema produttivo italiano e la sua indipendenza; due esempi concreti sono 

a) l'adozione obbligatoria del software libero nelle pubbliche amministrazioni, non tanto per favorire i risparmi ma soprattutto per stimolare la nascita e la crescita di imprese italiane nel settore, affrancandosi così dalla eccessiva dipendenza verso l'estero, e usando l'Università come laboratorio di innovazione tecnologica per la produzione di software libero come “bene collettivo”; 

b) domanda pubblica di energia verde e stimoli alla ricerca tecnologica e alla produzione nazionale di impianti produttivi di energie pulite;
 
13) combattere la precarietà cancellando molte delle forme contrattuali oggi vigenti e favorendo la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, sia attraverso un contratto di inserimento fortemente orientato alla formazione sia attraverso carichi che rendano antieconomico il ricorso ai contratti diversi dal tempo indeterminato;
 
14) rafforzare e tutelare il potere contrattuale dei lavoratori (in particolar modo attraverso il Contratto nazionale di lavoro) in modo che i salari tendano a risalire per favorire la domanda interna e la crescita.

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18 commenti:

  1. Da diverso tempo non scrivevo su questo blog, anche se vi ho sempre seguiti e continuerò a farlo.

    Per quanto concerne il post, tutto molto bello, lo riconosco. Quasi affascinante. Tuttavia, andrei un po' cauto nell'affermare che le teorie keynesiane non siano mai state applicate.

    Personalmente, ho sempre voluto sentire anche altre campane in merito.
    E consiglierei - non necessariamente agli autori, di cui so per certo che l'abbiano fatto -, giusto per farsi un'idea più generale, altre buone letture.
    Da diversi anni oramai, sono un sostenitore della Scuola Austriaca di Von Mises, Hayek e Rothbard e la visione di "pezzi" come questi, ai più dovrebbero far venire almeno dei piccoli... sussulti.

    http://vonmises.it/2012/05/02/federal-reserve-di-new-york-abbandonate-ledificio/

    A risentirci!

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  2. Ben ritrovato Francesco !
    Grazie per il commento e per il "pezzo" davvero da sussulto.
    Mi chiedo: gli economisti della scuola austriaca come giudicano l'attuale strategia economico finanziaria della UE che, rispecchiando l'imprinting tedesco, punta tutto sull'equilibrio di bilancio e toglie agli stati qualsiasi possibilità di fare investimenti (espansivi) a deficit ?
    E, in particolare, qual'è il loro giudizio sul Fiscal Compact e il cosiddetto fondo "salva" stati ESM ?
    Tu ci vedi chiaro ?
    Mi interessa molto sapere il tuo punto di vista...

    Grazie,
    Sandro.

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  3. Caro Sandro,

    cercherò di essere il più breve possibile perchè le domande che mi hai posto richiederebbero ore e ore di trattazione! :)

    La Scuola Economica Austriaca mette al centro della scienza SOCIALE economica l'azione umana, da cui si evince in maniera abbastanza incontrovertibile che qualsivoglia autorità, peggio se autoreferenziale e che non risponde a nessuno del proprio operato, possa generare degli immani disastri a livello sia economico che sociale.

    Sia il Fiscal Compact che l'ESM sono degli abomini giuridici, prima ancora che economici.
    Su questo punto credo si convenga un po' tutti. Le logiche retrostanti questi trattati sono sempre le solite: salvare le banche che ci hanno portato a questo punto.

    Per quanto riguarda il modello tedesco, c'è chi sostiene - erroneamente - che sia una derivazione proprio della Scuola Austriaca. L'intervento dello Stato nell'economia raggiunge livelli abnormi e stai pur tranquillo che prima o poi anche in Germania i nodi verranno al pettine.
    Ti consiglio vivamente di provare a seguire sia vonmises.it che usemlab.com per comprendere alcuni meccanismi e le basi della Scuola Economica Austriaca, a partire da ciò che nessun'altra scuola di pensiero economico capisce quanto sia fondamentale: la politica monetaria. Giocare sui tassi d'interesse e sulla moneta creata dal nulla ci porterà sul baratro nel breve volgere di qualche lustro.

    Buona Domenica!

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    1. Se parliamo della politica monetaria e delle banche centrali (che sono state, di fatto, anche quelle, regalate al "mercato") siamo assolutamente d'accordo.

      La moneta è un "bene comune" e non va privatizzata.

      Esattamente come l'acqua o l'energia.

      Adesso la politica monetaria è gestita dal cartello bancario negli interessi del cartello. Questo mi sembra evidente.

      Mentre la Grecia si stava massacrando a colpi di manovre taglia tutto per poter accedere a finanziamenti gravati da lucrosi ineressi, le banche, senza nessuno sforzo, e senza nessuna contropartita - di fatto - hanno avuto ricevuto dalla BCE un regalo di UN TRILIONE di EURO (mille miliardi !) al tasso del 1%.

      Non è tollerabile.

      Se la scuola austriaca dice che le Banche Centrali devono essere gestite dal potere pubblico negli interessi pubblici e non dalla lobby dei banchieri privati, allora sono "austriaco" anche io !

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  4. In attesa del tuo ulteriore contributo, chiarisco il mio punto di vista.
    A me interessa poco la disputa accademica su Keynesismo e anti-Keynesismo. Parto da una osservazione "empirica" e traggo delle conclusioni.
    Nel secondo dopoguerra l'italia si è risollevata dalla "crisi" bellica con una scelta di indirizzo politico-economico molto precisa e molto "keynesiana", se vuoi: lo STATO IMPRENDITORE.
    Lo STATO è entrato pesantemente nell'economia reale ed ha preso in mano soprattutto alcuni settori (quello delle grandi infrastrutture e dell'energia) potendo contare su uomini di valore come Mattei animati da un sano patriottismo. In quegli anni l'Italia è cresciuta e si è consolidata diventando la grande potenza economica che è (o che era fino al 92).
    Ad un certo punto tutto questo è stato, semplicemente, smantellato.
    Si è voluto fare spazio al mercato, privatizzare, smantellare lo Stato Imprenditore. E cosa è successo ? Il mercato ha fatto gli interessi del Paese o gli interessi "particulari" dei singoli capitalisti ?
    Guarda i settori che sono stati privatizzati: telecomunicazioni, autostrade. Le cose vanno meglio o peggio ? Le tariffe sono aumentate o diminuite ? La qualità del servizio ?
    Io sono convinto di poche cose di "buon senso":
    a) in certi settori può e deve investire solo lo Stato (energia, reti, scuola, sanità, acqua, utilities) perchè quelli sono settori di pubblica utilità, riguardano i "beni comuni" che non possono essere affidati al mercato che, per definizione, è gestito da tanti "privati" che fanno gli interessi propri.
    b) i settori in cui investe lo Stato devono essere affidati a gente capace e meritevole selezionata in base ad un ferreo criterio meritocratico. Dobbiamo mettere i migliori al comando dei settori pubblici, perchè dobbiamo avere la garanzia che questi settori vengano gestiti con criteri "patriottici" e non con criteri clientelari.

    La nostra storia recente ci fornisce le prove che quando lo Stato investe e investe bene e affida questi investimenti a gente capace e disinteressata, le cose funzionano bene e l'economia produce benessere per la gente.

    Quando invece, a causa anche di una classe politica inadeguata e lazzarona, tutto il "valore" che lo Stato può aggiungere all'economia viene semplicemente smantellato e dato in pasto al cosiddetto "mercato" le cose peggiorano e lentamente vanno alla deriva.

    Non credo che il Keynesismo possa essere facilmente liquidato come quel pensiero economico che induce a "stampare soldi dal nulla, creare inflazione, e fare investimenti a casaccio purchessia solo per stimolare la domanda aggregata".

    Se è così non mi interessa.

    Mi interessa preservare alcuni settori strategici per l'economia di una Nazione, finanziarli con soldi pubblici (i soldi delle nostre tasse, per intenderci), e affidarli a gente VERAMENTE capace e meritevole.

    Tutto il resto (i telefonini, le lavatrici, le automobili, ...) li producano pure i privati e stiano sul mercato con i prezzi e la qualità del prodotto. Non mi interessa.

    Ma, per cortesia, non toccate la sanità e la scuola, non toccate l'energia, non toccate le reti e le infrastrutture, non toccate l'acqua.

    Non toccate i beni comuni che, se sono comuni, vanno gestiti in comune, con regole chiare e trasparenti, con una nuova classe politica veramente di qualità e non più asservita ai grandi poteri della finanza.

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  5. Parliamo poi del "mercato".

    Un recente studio del politecnico di Zurigo ha dimostrato come, questo sia - di fatto - concentrato nelle mani di pochissime compagnie-mostro, soprattutto finanziarie (vedi il post "The Core").

    Questo è un "mercato" ?

    E' un "luogo" in grado di auto-regolarsi solo con la legge della domanda e offerta e con la libera oscillazione dei prezzi ?

    Oppure è un "oligopolio oscuro", senza nessun controllo democratico, neppure apparente.

    E il "mercato finanziario" poi, che cos'è, e cosa è diventato ?

    Se il 70% delle transazioni di Wall Street è fatto con le "macchinette" (software altamente sofisticato per l'Haigh Frequency Trading) che sbaragliano la concorrenza dei traders "umani" e drenano, ogni giorno, risorse dal sistema per soddisfare gli appetiti dei grandi speculatori (gli unici che possono permettersi il lusso di INVESTIRE in queste tecnologie)... possiamo continuare a chiamarlo Mercato secondo le definizione rigorosa della scuola austriaca ?

    O ci stiamo prendendo in giro ?

    Possiamo dire, per cortesia, che il mercato NON ESISTE così, per pulizia mentale, e per iniziare a ragionare con la mente sgombra da equivoci e da chimere ?

    Ecco: io penso che possiamo fare a meno di QUESTO mercato e tornare alle buone pratiche dei nostri "nonni" che hanno fatto grande l'italia mettendo assieme le risorse e gestendole in modo efficace negli interessi della nazione e del popolo.

    Non mi interessa tornare a Keynes o ad altri "maestri" della teoria economica.

    Però mi interessa tornare all'italia di Mattei perchè certe cose, in quell'Italia, non tutto per carità, funzionavano molto meglio rispetto alla povera Italia di oggi.

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  6. Non mi sembra di aver definito questo il "mercato", ci mancherebbe altro.
    So perfettamente che le oligarchie esistono e, in tal senso, vengono osteggiate anche dagli austriaci.
    Questo è il mercato dei grandi banchieri e degli speculatori. Siamo perfettamente d'accordo.

    E, tantomeno, non credere che io non mi sia nemmeno posto il problema dello Stato Imprenditore di matteiana memoria.
    Anzi, giusto la settimana scorsa, sottoposi questa riflessione proprio su vonmises.it, e per mero piacere dialettico, ti incollo sia questa che la risposta ricevuta:

    achill3r maggio 5, 2012 alle 10:08

    Salve a tutti.

    Seguo questo sito da alcuni mesi, ma da un paio d’anni mi sono avvicinato alla Scuola Economica Austriaca di cui condivido pienamente il pensiero.
    La mia storia da “studente” – ma oserei dire più appassionato di materie giuridico-economiche – è piuttosto lunga e travagliata e preferirei sorvolare al momento.
    Ora non so se è stato trattato già l’argomento (e in tal caso mi scuso se sollevo la questione), ma mi piacerebbe poter approfondire in modo capitllare il pensiero della Scuola Austriaca in merito a quel particolar approccio alla politica economica che fu dell’Italia post-conflitto mondiale e con riferimento mirato, ad esempio, a quello incarnato dall’ENI di Mattei (la cosiddetta Terza Via), dove l’intervento e il ruolo dello Stato nella struttura economica erano il frutto del compromesso raggiunto tra i cattolici sociali – guidati da Rossetti e La Pira – e la sinistra italiana – cioè i comunisti.
    Benito Li Vigni, che fu assistente personale proprio di Mattei, nonchè dirigente storico dell’ENI, racconta di come i due schieramenti rifiutarano sia il liberismo in senso stretto che il collettivismo, dando vita a quello che è stato definito lo Stato Imprenditore.
    A suo dire, quindi, non si diede vita allo statalismo, ma allo Stato Imprenditore che opera con le leggi del mercato. Semre secondo Li Vigni, questa concezione venne meno – di fatto – a cavallo degli anni ’80-’90 col beneplacito di banchieri senza scrupoli e dei politici italiani che si spartirono il “bottino” delle privatizzazioni e uno dei maggiori artefici di cotanto scempio fu Mario Draghi.
    Confesso di non aver approfondito adeguatamente la vicenda sotto gli aspetti sia storici che di ricadute socio-economiche.
    Tuttavia, come ho premesso, essendo un appassionato di questi temi, e conscio della posizione della Scuola Austriaca per quanto concerne il ruolo dello Stato nel governo dell’economia, sarei lieto si potesse aprire un dibattito su questo particolare modello sovra maldestramente esposto o – in alternativa – mi si potesse fornire un po’ di materiale (magari online) dove l’argomento è stato trattato, sviscerandolo adeguatamente.

    Grazie e complimenti per il Vostro magnifico lavoro.
    Francesco

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  7. avatar Giuseppe D'Andrea maggio 5, 2012 alle 18:29

    Caro Francesco,

    Il tema che hai sollevato è più che rilevante e meriterebbe una trattazione separata, non solo perché trova una specifica allocazione all’interno del pensiero austriaco, ma sopratutto perchè ci riguarda da vicino.

    Detto ciò, sinteticamente, Li Vigni qui ci sta proponendo un modello socio-economico definito ‘Misto’, che secondo la retorica dell’epoca avrebbe dovuto racchiudere in se tutto il meglio del capitalismo e del socialismo, senza avere nessun difetto inerente ai due. Il prodotto fu un ibrido che mutuò dal fascismo pezzi di retorica corporativa (ridenominata) e strutture di controllo e gestione della grande industria (i famosi enti Beneduce come l’IRI e l’INA), pur non diventando totalmente avverso alla libera impresa l’orientamento al mercato doveva essere tenuto sotto controllo dal governo e dalle sue politiche economiche, che dovevano dire l’ultima parola sul dove come e quando l’economia si dovesse muovere a livello macroeconomico. In questo sistema entra tutto l’armamentario keynesiano dello strumento fiscale, dell’investimento pubblico, del sostegno alla domanda con tutto ciò che ne consegue.

    Ma questo sistema non è in realtà, un altra via totalmente diversa dall’economia di mercato o dall’economia centralizzata è semplicemente un ibrido instabile, che ondeggia a tratti da un lato o dall’altro in base alle vicissitudini del tempo, dall’umore dei politici e ultimo ma non ultimo, in base alla mole di errori e distorsioni che questi ‘illuminati’ manipolatori , causavano nelle loro economie. La storia dello ‘Stato Imprenditore’ che qualche nostalgico carezza ancora come ricordo dei bei vecchi tempi andati, non era altro che lo ‘Stato Interventista’, che di propria spontanea e incontestabile iniziativa con mezzi pressoché illimitati si metteva non solo a settare obiettivi economici, ma si prendeva addirittura la briga di mettere in essere direttamente programmi economici alla cui base c’èrano motivazioni di ordine spesso meramente politico.

    Ma questo modello è destinato a fallire miserevolmente indipendentemente dalla nazione che tenta di applicarlo, i problemi di calcolo economico dello stato che non è imprenditore e non può esserlo per definizione evidenziati da Hayek e Mises non vengono scalfiti dalla retorica della ‘terza via’, l’inefficienza del modello burocratico di gestione applicato alle aziende, unico modo che lo stato conosce e la monopolizzazione de-facto di intere zone produttive o di interi settori e i bail-out continui ai settori che non riuscivano a funzionare nemmeno decentemente (ma all’epoca si chiamavano politiche a sostegno dell’occupazione), la manipolazione della valuta e dei tassi ancor più marcata in un economia dove lo stato deve gingillare anche con l’azione economica diretta non solo con i compiti istituzionali.

    Quell’economia e quel sistema permane oggi non solo nei ruderi della nostra legislazione, negli accenni costituzionali alla pianificazione economica e nelle decadenti istallazioni degli ex centri di sviluppo, ma nella incapacità tecnica dello stato italiano di eliminare i residui di controllo economico, di diminuire le spese e di adeguare la pressione fiscale ad un livello ‘umano’ per un’economia di mercato, oltre che nella cronaca dei fallimenti delle ex-aziende di stato vittime designate da un modello economico che le aveva edificate laddove non sarebbero mai potute sorgere o che le aveva ‘pompate’ di steroidi pubblici per sopravvivere alimentandone il cronismo.

    Insomma, molto dello sfascio italiano odierno è dovuto anche a questo cincischiare fra Socialismo, Interventismo e neo-keynesianesimo, su una cosa sola si può essere certi, questo paese non ha mai dato all’economia di mercato nemmeno una chance.

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  8. Mi piace quando la discussione assume toni così elevati e ti ringrazio infintamente Sandro! :)

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  9. Il tuo ultimo commento era finito, non so perchè, nello "spam".
    ora l'ho recuperato (vedi sopra).
    Ed ho cancellato la seconda copia che avevi inserito.
    Grazie per aver condiviso questa interessantissima analisi su "matteismo".
    Devo dire che... non mi convince molto la risposta che ti è stata data.
    L'italia di adesso, che è stata "regalata" al mercato, è meglio di quella di Mattei quando lo Stato faceva l'imprenditore ? non mi sembra, anzi.
    Di fronte a questa semplice constatazione cosa rispondono i teorici della scuola austriaca ?
    :-)

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  10. Evidentemente, ci stiamo ancora fraintendendo sul concetto di "mercato".

    Secondo te, questo mercato di oggi è libero? Che razza di mercato è quello in cui le banche non falliscono se commettono degli errori madornali?

    Che razza di mercato è quello in cui una banca centrale gioca a suo piacimento coi tassi di interesse e con l'espansione/contrazione di moneta?

    Che razza di mercato è quello in cui l'economia non è più una scienza sociale a servizio della collettività, ma è piuttosto subordinata agli azzardi morali della tecnica finanzaria speculativa che ne esce sempre vincente?

    Che razza di mercato è quello in cui il rapporto tra beni reali e strumenti finanziari è 1/10?

    Che razza di mercato è quello in cui beni reali sono regolamentati dagli Stati o da altri organismi sovranazionali fino alla sua disintegrazione e dove il mercato finanziario non subisce nè tantomeno accetta alcun accenno di regolamentazione?

    La storia dello Stato Imprenditore post-conflitto bellico andrebbe approfondita non soltanto sul versante socio-economico verso cui promanava, ma andrebbe anche - e soprattutto - collocata in una congiuntura e in un contesto geopolitico da cui muoveva i suoi passi e che la incanalavano su quei binari dove i blocchi continentali volevano costringerla.
    Del resto, la parabola matteiana fu quella che fu proprio perchè lui tentò di fare le scarpe a chi non doveva (e qui il parallelismo con Kennedy credo sia alquanto coerente).

    E, per concludere, non credo sia stato affatto un caso che le "glorie" italiane presero la piega che conosciamo oggi proprio nel momento in cui il conflitto USA-URSS venne meno e con essa finì il ruolo di baricentro politico-economico dell'Italia nonchè il dualismo DC-PCI.

    Ciononostante, ribadisco, quel che avvenne dal '92 in poi, nulla avevano ne hanno a che vedere col libero mercato secondo la concezione austriaca. Bensì furono solo manovre mosse da quegli oligarchi politico-finanziari che sia tu che io condanniamo senza appelli!

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    1. Anche questo commento l'ho recuperato dallo "spam".
      Ci va a finire automaticamente ... e non ho ancora capito perchè.

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  11. Scusate, io sono ignorante di teorie o concezioni "austriache", però vi chiedo una cosa semplice semplice: puo' il mercato di oggi essere diverso da quello che è (o dovrebbe essere) ? Francesco, tu dici che il "mercato" di oggi, cioè il "non-mercato" (perchè le banche non falliscono, il rapporto economia/finanza è 1/10, seguo il tuo ragionamento...)ha iniziato ad avere lo strapotere che ha da quando è crollato il Muro di Berlino. Cioè da quando è venuto meno il bilancio USA/URSS che si spartivano il mondo.
    Per dare spazio, aggiungo io, allo strapotere di un solo padrone, al posto di due come era prima. La cosa interessante è che, in questo equilibrio "instabile" generato dalla Guerra Fredda, potevano crescere delle "anomalie", delle perturbazioni. Come dire "tra due litiganti il terzo gode...". E quindi, stra-brutalizzo,uno come Mattei ha potuto fare (un po') quello che ha fatto perchè se si "incazzava" USA si "contro-incazzava" URSS, e se si incazzava "URSS", si contro-incazzava USA. Quindi, stavano tutti abbastanza pacifici perchè se no il rischio di un conflitto sarebbe diventato realtà. La Guerra fredda ha, di nuovo brutalizzo, salvato l'economia italiana e le oligarchie sono state, come dire, un po' ibernate per paura, essenzialmente. Eliminati quei "cattivoni" dei comunisti, tutto è tornato normale: sono tornate a fiorire le oligarchie, hanno iniziato a comandare solo in pochissimi, guai a chi immaginasse di proporre qualche diverso modello di sviluppo. Stando così le cose, la vedo nerissima ragazzi, perchè ogni possibile tentativo di cambiare questo status-quo verrà(temo) annichilito e tacciato per pazzo scatenato di racconta queste storie. O, bene che vada, ti chiameranno, appunto, nostalgico. E' desolante.

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    1. Io ho detto che in Italia tutto è finito nel '92, non che l'odierno non-mercato ha avuto inizio in quella data.

      Il patatrac è iniziato due decenni prima: nel 1971 con la fine degli accordi di Bretton Woods.
      Non è un caso che proprio in quegli anni si sono iniziate a vedere le prime spinte iper-inflazionistiche, le crisi petrolifere, le bolle speculative ecc. ecc...

      Per quanto riguarda la tua conclusione finale, non posso che concordare amaramente. Tant'è che ognuno è nostalgico a suo modo, ma cionondimeno siamo tutti tacciati di complottismo.

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  12. Si, Francesco, ma il muro di Berlino è caduto nel 1989, cioè prima del 1992. Sicuramente i patti di Bretton Woods mettevano la "museruola" agli speculatori e sono stati eliminati 20 anni prima, però è anche innegabile che fino a quando che c'era il rischio di una nuova Guerra Mondiale devastante, visto l'armamentario nucleare, qualche cautela in più c'era. Quanto meno nel non mettere in crisi gli Stati sovrani come sta accadendo adesso, alcuni dei quali magari stavano sotto l'ombrello protettore dell'uno o dell'altro blocco di potenza. In altri termini la "forza della paura" era un deterrente alla "forza della speculazione", poi non c'è stato più limite. C'è anche da dire che anche solo fino all'inizio degli anni '80 non è che si fosse la tecnologia di adesso e la globalizzazione delle transazioni finanziarie non era di fatto possibile. In tal senso la tecnologia non ha certo favorito, anzi.
    A parte tutti questi ragionamenti, se concordate, io credo sia anche ora di definire qualche proposta quanto meno presentabile, anche se l'esito potrà essere negativo. Perchè abbiamo il "dovere" di farlo, e perchè le guerre bisogna sempre farle per le giuste cause, anche se si è quasi sicuri di perderle. Se no si chiama vigliaccheria. E io vorrei essere quanto meno "non vigliacco", se non altro per rispetto di me stesso e di quelli che verranno dopo di me. E' un po' come la preoccupazione per gli impatti dei cambiamenti del clima, che sono assolutamente legati a queste cose come ho già scritto. Probabilmente le NAzioni non riusciranno mai ad accordarsi, almeno in tempi brevi e quando lo faranno forse si sarà superato il punto di non ritorno (c'è già chi dice che sia stao già superato). Non per questo non ci si deve muovere.

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  13. Carlo, non capisco il motivo perchè devi stare a sindacare sulle date! :)
    E' vero che il muro è caduto nell'89, ma l'URSS si è disgregata nel '91!

    A parte queste quisquilie di poco conto, concordo sul resto della tua linea.
    Noi, almeno, abbiamo ancora un cervello per pensare ed anche dibattere sul perchè delle cose e su come provare a cambiarle.
    Tuttavia, sono dell'idea che ci vorrà un'altra guerra planetaria per ripristinare quegli equilibri di potere che possano permettere ai vincenti di mantenere gli stili di vita a cui sono/siamo abituati. Perchè come qualcuno ha detto: "Siamo troppi". E a questi ritmi, tra qualche anno i problemi finanziari saranno scalzati da quelli legati al sostentamento.

    Del resto, anche su questo blog erano state riprese alcune teorie di Nicholas Georgescu-Roegen sull'entropia e il secondo principio della termodinamica.

    Ma dove pensiamo di andare? E - soprattutto - che mondo stiamo lasciando a chi verrà di noi? Siamo pronti a rivoluzionare completamente le nostre esistenze?

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  14. Caro Francesco, scusami ma non volevo assolutamente sindacare sulle date. Ho messo quei numeri solo a sostegno della tesi. Mi sembra che siamo della stessa idea, per altro. Le ultime tue domande sono le mie domande. Se poi ci metti che faccio anche il climatologo di professione capirai bene che questa realtà del mondo che si sgretola sotto il peso della crescita demografica e della diminuzione delle risorse non mi lascia dormire la notte. La gente crede che queste cose avverranno "nel futuro", e invece ti posso garantire che il "futuro" è già arrivato. Visto che, ad esempio, a Bologna la temperatura è cresciuta di 2 gradi in 50 anni, cioè quattro volte il trend di crescita globale. E questo significa assottigliamento della risorsa idrica, onde di calore, impatti sulla salute, aumento delle malattie tropicali per vettori (tipo zanzara tigre). E crisi sociali che cresceranno, ad esempio perchè mancherà l'acqua in estate, anche da noi. Anche se meno che in Tunisia.
    Queste cose NON stanno nell'agenda politica della politica. In Italia non esiste (unico paese in Europa !) un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, per dirtene una. Queste cose non stanno nell'agenda della finanza, che anzi pensa che le risorse siano infinite e che il secondo principio della Termodinamica sia una battuta di spirito. Io sinceramente non so come fare. Abbiamo aperto questo blog un po' di mesi fa per parlare anche di queste cose. Ci sono tante iniziative analoghe alle nostre, ma non si riesce a fare "massa critica". Ci Parliamo un po' tra di noi. E non basta. La destrutturazione che ci caratterizza, e che i "social network" amplifica perchè elimina il confronto diretto, stile "anni '70" per intendersi, e che si faceva dentro i partiti, ci impedisce di costruire qualcosa di duraturo. Se vedo come sono finite le iniziative del "popolo viola" del quale non se ne parla più, mi viene la depressione. E' tempo di fare qualcosa, non so come, ma bisogna fare qualcosa. Il tempo delle analisi non può essere infinito.

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  15. Lo so bene, Carlo.

    Putroppo viviamo in una situazione particolare, dove internet permette l'accesso a un quantitativo pressochè illimitato di conoscenze, ma al tempo stesso ciò porta a una disgregazione socio-culturale che negli anni '70 era praticamente impossibile, dal momento che tutto si muoveva attorno a una ideologia e, al più, potevano esserci delle "correnti" di pensiero su cui oscillare e fare presa.

    La rete, se usata con criterio, può essere utile a creare un senso critico autonomo e a partorire delle buone idee. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, se viene usata male, la rete crea solo tanta confusione e una miriade di teste soggiogate da quella che io definisco "overloading information".

    E' un bel dilemma, lo riconosco chiaramente.
    Ciononostante, personalmente, non posso che essere contento - seppur nel mio piccolo - perchè se internet non fosse esistito, non avrei mai potuto conoscere da Messina te e Sandro a Bologna, nè tantomeno avrei avuto la possibilità di intrattenere con voi questo tipo di discussioni.

    Putroppo - ed è questo il vero dramma - come andare oltre questo?
    Il teletrasporto non l'hanno ancora inventato... :)

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