domenica 8 aprile 2012

Alta Velocità


Che scelte sono quelle che siamo costretti a fare ? 
Non c’è soluzione al rebus della nostra quotidianità.

...

Sveglia ore 6.30. Già mattina, di nuovo. Ci alziamo dal letto ma sentiamo che il riposo non è stato sufficiente. Colpa dei sogni ? Della cattiva digestione ? Dei risvegli notturni per la tosse dei figli ? 

Non lo sappiamo. 

Ogni mattina ci affrettiamo a trovare una giustificazione. Cercando se ne trova sempre una, plausibile e razionale, per ogni problema. Una ragione che non comporti la messa in discussione delle nostre abitudini quotidiane.

Colazione. Letti. Accompagnamento dei figli a scuola. E via verso il lavoro. 

Strada intasata dal traffico, tangenziale o autostrada ? 
Quel che è certo è che andare a lavorare sembra un esodo: l’esodo di chi va ogni giorno da nord a sud o da est a ovest. 

Perchè dobbiamo lavorare dalla parte opposta rispetto a dove viviamo rimane un altro mistero. Ci si può fare qualcosa ? Chissà ...

Intorno alle 9.00  finalmente al lavoro: a due/tre ore dalla sveglia. 
Neanche male ! 

Questo periodo storico ha sancito l’idea che il lavoro è un lusso, un regalo, una fortuna per pochi. Una volta era una fatica, stancava, a volte ti nobilitava, ma ora è proprio ed esclusivamente un terno al lotto. 

Quindi, che tu ce l’abbia sotto casa o a un’ora di strada, che tu stia alla scrivania o in una catena di montaggio, tutto si è paurosamente livellato. Chi ha il lavoro non può fare altro che ringraziare di averlo e tenerselo stretto. Senza lavoro non c’è più solo la disoccupazione, ma il baratro sociale.

La giornata lavorativa termina alle 19.00 oppure in tempo per riprendere i bambini da scuola. Chi si attrezza con nonni, giri di baby sitter e genitori amici. Ogni tanto c’è la chiamata telefonica da parte dell’insegnante, in piedi davanti al cancello della scuola, al genitore che non è arrivato in tempo. “Doveva venire il papà” o “Sono stata bloccata dal traffico ma stiamo arrivando”. 

E i bambini si trasformano in ruote dell’ingranaggio, dove il meccanismo si interrompe, dove la corsa si gioca sul filo di lana: traguardo mancato per sovrapposizione di impegni. Scatta la solidarietà: “lo prendo io”. Per qualche bimbo invece l’attesa si protrae e da lontano si scorge qualcuno con la mano alzata che dice “eccomi”. 

Ce l’ha fatta. Anche oggi i tasselli del puzzle si sono incastrati.

Oppure c’è la telefonata dalla scuola: “non si preoccupi, ma il bambino non sta bene…Potete venire?”. “Certo, arriviamo subito”. Subito: è una parola ! Ma bisogna pensare ancora una volta a chi di bimbi ne ha tre o quattro. A chi non ha nonni, baby sitter, amici. E quindi non ci resta che accettare la nostra quotidianità: ci va stretta, non sappiamo come gestirla, ma è quella che ci ritroviamo e, ce lo ricordano tutti, non è la peggiore, quindi la dobbiamo vivere.

Ce lo ripetiamo nel riassettare la casa, nel vedere il cesto dei panni da lavare che cresce, nel cucinare qualcosa con il frigo vuoto, nello stare in mezzo al traffico per ore prima di tornare a casa.

Poi a un certo punto qualcuno si rende conto che la corsa è eccessiva. Il cuore all’improvviso impazza o non si sente bene. 

Si rende conto che quella vita che  consente di avere il conto corrente in positivo e di pagare i debiti (è già un traguardo oggi no?) ma che costringe a stare fuori di casa 50 ore la settimana o a correre all’impazzata, non è vita

Ce l’hanno venduta come tale. Ma non lo è.  

Allora qualcuno decide di decidere. La vita è nostra. Nessuno può decidere al posto nostro. 

Decide di scendere dal treno in corsa. 

Ridimensionare impegni, ritrovare il tempo. Quello che ci hanno rubato mentre ci riempivano di bisogni indotti e (quindi) di debiti per poter soddisfare quei bisogni.

E in genere sono le donne che decidono di scendere.

Sono circa 800.000, in Italia, le donne che dichiarano di aver "rinunciato" al lavoro a seguito di una gravidanza (fonte Istat).

Il lavoro non scompare in realtà. C’è quello familiare e genitoriale. Invisibile ma strutturale. Diceva Saint’Exupéry “l’essenziale è invisibile agli occhi”.

Chi esce dal lavoro o patteggia il part time, decide di tacitare la vocina interna che cercava l’uguglianza sociale. Del resto ormai non è più così difficile: tutto sommato  è semplice pensare che sia stata una falsa conquista… che qualcosa sia andato storto o peggio, che ci abbiano fregato. 

Se non c’è un sistema sociale che ci sorregge, non c’è eguaglianza che tenga. 

Non siamo in Danimarca ! Sotto la pressione del lavoro, del tempo che incalza, i minuti che mancano, le corse per arrivare in orario, il sistema familiare crolla, sotto l’egida del tempo che sparisce e che non ti fa più vivere.

Chi ritrova un po’ di tempo pensa di aver vinto. E poi, a poco a poco, si rende conto che il conto corrente ricomincia a scendere e le bollette tornano ad insidiare i risparmi. 

Tutti i costi sembrano naturalmente amplificarsi. E comincia a risalire la tensione. La necessità di rientrare nel ritmo forsennato, per starci dentro. Ricomincia la paura. Ci hanno detto che dobbiamo stare attenti: chi esce dal mercato non è detto che possa rientrarci.

E ci si sente un po’ come sui treni in Birmania: devi salire al volo con qualcuno che ti dà una spinta e ti butta dentro le valigie. 

Ecco sei risalito: sei di nuovo sul treno. 

Ma, il treno, dove sta andando ?

Silvia.

4 commenti:

  1. Già, dove sta andando?
    Mettiamola così: il treno non ha una meta ,corre lungo una direttrice e quando giunge al capolinea torna donde era partito e così innumerevoli volte finchè resta in servizio.
    Sono i passeggeri, Silvia, che non scendono tutti o quasi nella medesima stazione.
    Le generazioni che ci hanno preceduto hanno sempre avuto qualcosa da sognare, da desiderare, da conquistare.
    Nel corso dei secoli si è agognata la Patria, l'Indipendenza, la Libertà, L'Uguaglianza e quindi la Democrazia. E per questi ideali si è combattuto , spesso pagando un altissimo tributo di sangue, e la lotta ha accomunato le genti.
    Per tornare alla metafora: le persone erano tutte dirette verso la stessa stazione.
    Oggi invece, che tutto sembra essere conquistato ognuno sceglie una propria stazione dove crede, a torto o a ragione,di conquistare la propria personale "felicità". Insomma, per dirla con la filosofia siamo in pieno Relativismo.
    Ma evidentemente l'ebbrezza ,di questa suprema forma di libertà individuale, ci ha pervasi e confusi al punto da stravolgere la scala delle priorità anteponendo il superfluo all'essenziale.
    Sono certo che anche questa sbornia, come tutte le sbornie, passerà e contemlando le rovine che inevitabilmente ci lascerà ritroveremo noi stessi e il senso autentico della vita.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, condivido: il treno non deve necessariamente avere una meta. In fondo, sì dice l'importante non è arrivare ma viaggiare. Viaggiare di per sè può essere la cosa più avventurosa per ogni essere umano, per scoprire e conoscere il mondo esterno (se hai una sufficente base sicura interiore puoi sentirti a casa ovunque). Quello che non va è che il prezzo del biglietto è altissimo e vieni caricato a forza. Non c'è scelta. Forse qualcuno cerca anche di scendere alla tua stessa stazione ma il treno è in corsa: qualche stazione neanche la vedi e i bagagli che portiamo con noi sono molto diversi. Già se c'è qualcuno che ti butta dentro le valigie e te le ributta fuori è un segno di vicinanza. La sbornia passerà. Diceva Falcone che tutti gli eventi umani hanno un inizio ed una fine. Il punto è come: il treno deraglierà? lo fermeranno interrompendo i binari, o verrà a tutti i passeggeri la voglia e quindi la forza di rallentare? Intanto controlliamo le valigie....
      Silvia

      Elimina
  2. "La terza c'hai detto", per usare un intercalare spassosissimo di "Quelo", un esilarante personaggio di Guzzanti inserito in uno show comico di alcuni anni fa. O meglio, mi piacerebbe che avvenisse in quel modo perchè significherebbe che i sudditi saranno diventati maturi e consapevoli cittadini che non delegano il governo a " nani e ballerine" di turno ma vi partecipano con responsabilità sentendo la partecipazione alla politica non come un fastidio ma come un dovere civico permanente.
    I vari movimenti popolari del tipo Indignati,Occupy Wall Street ed altri lasciano ben sperare tanto più se riusciranno a coordinarsi internazionalmente.
    Certo i tempi potrebbero essere lunghi e noi non vivere abbastanza per assaporarne i frutti, ma la Storia è caratterizzata da epoche e ognuna
    di queste ha nel suo grembo il Nuovo con le sue contraddizioni.
    Se pensiamo al secolo scorso i nostri genitori e ancor più i nosttri nonni hanno subito due guerre mentre noi stiamo godendo sessanta anni di pace. A loro la paura sotto i bombardamenti a noi quella di perdere il lavoro. Tutto sommato ci è andata grassa, come si suol dire
    Coraggio Silvia, teniamo duro: " Cuore forte rompe la sorte".
    Ti saluto. E scrivi più spesso: mi piace leggerti!

    RispondiElimina
  3. Anche io penso che sia la terza che hai detto, la soluzione, Cara Silvia. Perchè non è possibile che la corsa sia eterna. E senza una meta. Non è possibile che continui un "film" in cui 10 attori incassano più di 3 milioni di comparse. Spesso mi capita di parlare nelle scuole di quale sia il problema dell'impatto dei cambiamenti climatici sul nosto pianeta, la nostra economia, la nostra...vita. Faccio sempre l'esempio dell'autobus guidato da un folle, pieno di gente, che corre su una strada sterrata accelerando sempre più. Qualcuno l'ha detto all'autista che in fondo alla strada c'è il burrone, ma l'autista non se ne cura.
    Allora sono le persone che stanno dentro l'autobus, che dopo l'ennesimo scossone, si buttano sull'autista e lo legano. E un altro autista prende il suo posto, e inizia a frenare. E' l'autobus riesce a fermarsi prima del burrone. Ecco, io ancora io voglio credere in questa storia. Però bisogna che i passeggeri si sveglino dal torpore in cui giacciono.

    RispondiElimina