domenica 3 giugno 2012

Il territorio in crisi

E' stupefacente constatare quanto sia variabile nel tempo l'attenzione dell'opinione pubblica sul tema delle catastrofi naturali e, più in generale, della sicurezza del territorio

In particolare varia molto nel tempo la discussione sulla responsabilità dell'uomo nell'aver fatto crescere a dismisura le condizioni di rischio, a causa dell'uso scorretto e talvolta selvaggio del territorio che ha prodotto un repentino aumento della vulnerabilità e delle persone esposte.

Pochi dati per inquadrare la situazione: dall'indagine Ecosistema Rischio 2011 realizzata da Legambiente con il concorso della Protezione Civile Nazionale emerge che in Italia ci sono abitazioni a rischio in più dell'85% del campione di comuni interpellati, con presenza di abitazioni in aree golenali, oppure vicino a frane; fabbricati (talvolta interi quartieri), scuole, strutture pubbliche costruite in zone a rischio. In generale troppo cemento che invade fiumi, ruscelli, fiumare, come pure aree edificate a ridosso di versanti franosi e instabili.

Dopo ogni alluvione, inondazione e terremoto, come ad esempio quello che sta colpendo in questi giorni l'Emilia-Romagna, procurando vittime, feriti, danni ai beni artistici e all'economia, il dibattito su questi temi si riaccende, quei numeri sopra citati vengono ri-estratti dal generale "oblio" della politica nazionale e per qualche settimana non si parla solo di "spread" ma anche di frane, di alluvioni, di terremoti, di zone a rischio. 

E, parallelamente, cresce la polemica e la ricerca del colpevole cioè di qualche singolo che ha commesso un errore, omesso una pratica, svolto male un controllo. 

Per carità, questo è assolutamente legittimo: chi ha sbagliato deve pagare.

Tuttavia questo atteggiamento spesso mette in secondo piano l'analisi e la ricerca delle ragioni più profonde di questo stato di cose che, a mio avviso, derivano anche da ciò che andiamo raccontando qui su Piazzaverdi e cioè l'attuazione cieca di uno Sviluppo Senza Limiti e Senza Freni asservito agli interessi della finanza speculativa che semplicemente, ignora i vincoli che Madre Natura e il Buon Senso impongono.

Ad esempio i vincoli degli alvei fluviali, che non possono essere artificalmente e impunemente "spostati" per costruire improbabili quartieri o fabbriche, oppure i vincoli che sono stati definiti dall'uomo, in tempi di maggiore "saggezza ecologica", per mitigare gli effetti delle alluvioni, come ad esempio le aree golenali che troppo spesso risultano abitate da esseri umani, invece di rimanere deserte per poter contenere l'acqua tracimata dagli alvei, durante le piene. Per non parlare poi delle costruzioni improprie in aree sismiche e in aree soggetto a rischio frana.

In queste circostanze tutti diventano giudici, i "mass media" fanno a gara a chi pubblica o manda in onda le migliori analisi su questa incontrollata crescita della "vulnerabilità" naturale prodotta dall'uomo; vengono mostrati, all'interno di dottissimi, quanto talvolta superficiali dossier, i territori colpevolmente ceduti al cannibalismo di chi deve "mangiare" terra per fare soldi. 

E' talmente forte la critica, che risulta, paradossalmente, anche un tantino "ipocrita" e, mentre la si ascolta, si sa già che fine faranno quelle critiche e quelle giuste indignazioni. Non mi stupisco ormai più nel constatare che basta attendere qualche settimana o mese e poi l'attenzione torna a decrescere sino al punto di risultare praticamente, di nuovo, assente. 

In "tempo di pace", cioè quando il cielo torna azzurro, non fa troppo caldo, non fa troppo freddo, non piove molto, non nevica, la terra è quieta, i fiumi scorrono sereni all'interno dei loro alvei, i "versanti" non scivolano, ecco che il palcosceninco mediatico torna di nuovo silente.

E i temi del rischio idrogeologico o idraulico, o di quello sismico, e la necessità di sistemare il territorio nazionale mettendo adeguate risorse all'interno di precisi Disegni di Legge tornano ad essere argomenti da convegno, da workshop, spesso anche prestigiosi, come ad esempio l'ultimo tenuto all'Accademia dei Lincei qualche mese fa sul tema del Rischio Idrogeologico (per chi fosse interessato, qui si possono scaricare i riassunti delle presentazioni).

Come dire: la comunicazione parla "forte" dell'emergenza solo durante l'emergenza. Poi basta. 

La chiamerò "comunicazione in emergenza", per fissare le idee. 

La "comunicazione della prevenzione", invece, quella che serve per far conoscere i problemi reali, attraverso la ricerca scientifica e lo studio, quella non ha spazio, o ha uno spazio troppo minimo per produrre qualche effetto.

Ma se fosse tutto solo un problema di comunicazione, scorretta, parziale e temporanea, non andrebbe poi neanche tanto male.

Purtroppo però, non esiste solo la "comunicazione in emergenza", ma anche il "governo in emergenza". In altre parole si assiste ad una generale e protratta latitanza di chi ha governato e governa il Paese nel prendere di petto questi problemi, inserendo le proposte di soluzione degli stessi negli obiettivi programmatici annuali e pluriennali. Proposte che devono contenere una chiara, duratura, strutturale pianificazione delle risorse necessarie per mettere in sicurezza il nostro territorio. 

Al contrario, si è assistito, da parte dei nostri governanti, ad una costante applicazione della cultura dell'emergenza e assai meno della prevenzione strutturale, la quale viene santificata molto bene a parole ma molto male attuata nei fatti, quando si tratta di mettere mano al borsellino, nelle varie Finanziarie che si sono succedute negli anni. E ovviamente, questo non lo si è fatto e si continua a non farlo, per colpa della... crisi.

La cultura dell'emergenza si è tradotta in un sistema di gestione del territorio che sempre più spesso ha fatto ricorso a strumenti "straordinari" di finanziamento, per altro delle "briciole" minuscole rispetto alle necessità stimabili, come ordini di grandezza, a qualche finanziaria dello Stato (parecchi miliardi di euro sono necessari per mettere in sicurezza il territorio dal rischio idrogeoloigico, come afferma il ministro Clini). 

Questi strumenti straordinari si chiamano Ordinanze di Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri (vedi ad esempio: Albanesi e Zaccaria: Le ordinanze di protezione civile) e sono stati inseriti nella stessa Legge di Costituzione della Protezione Civile n. 225 del 1992). Lo scopo principale di questi strumenti era ed è quello di poter procedere con la necessaria urgenza quando si deve mettere in sicurezza un territorio e delle popolazioni a seguito di eventi calamitosi.

Nel corso del tempo il concetto di "emergenza" si è allargato, come testimonia il numero delle Ordinanze di Protezione Civile che è cresciuto notevolmente negli anni, passando da una-due nei primi anni (1994-2001) fino a parecchie decine dal 2002, con punte di 99 nel 2005 e 87 nel 2008 anche grazie all'inserimento dei famosi Grandi Eventi che lo Stato ha deciso, nel 2001, dovessero essere sotto la responsabilità della Protezione Civile e quindi gestiti in via emergenziale (la gestione dei Grandi Eventi in via emergenziale è stata abolita solo di recente all'interno del Decreto Liberalizzazioni).

Queste cose le sanno più o meno tutti, sono state scritte e riscritte sui giornali, libri, rappresentate in filmati e reports, dibattiti televisivi ne hanno parlato incessantemente. In particolare si è polemizzato molto sui Grandi Eventi, criticando il fatto che questi dovessero essere gestiti e finanziati attraverso procedure in emergenza pensate per rimettere rapidamente in sicurezza i territori devastati dalle catastrofi naturali.

Tutto giusto, assolutamente.

Però, nella foga legittima di mettere un freno allo "strapotere" della Protezione Civile, voluto da uno Stato incapace di gestire, nell'ordinario, la sicurezza del nostro territorio, si è spesso anche fatto di ogni erba un fascio, colpevolizzando "a priori" le ordinanze, accumunando in un unico giudizio negativo le spese corrette con quelle sicuramente meno giuste. 

Ad esempio, ci si è scordato di ricordare che anche grazie ai soldi delle Ordinanze di Protezione Civile oggi questo Paese ha un sistema di monitoraggio idro-meteo-radar-pluviometrico moderno ed ha colmato un "gap" tecnologico storico che ci differenziava da tutto il resto d'Europa, fino alla fine degli anni '90. 

L'Italia ha oggi una serie di Centri di Competenza che forniscono servizi, informazioni, dati, elaborazioni e contributi tecnico-scientifici in specifici ambiti (es.: meteorologico, idrologico, idrogeologico, sismico) e concorrono al Sistema di Allertamento Nazionale. Ha un sistema di allertamento nazionale funzionante (attraverso il sistema dei Centri Funzionali, stabilito con la Direttiva del PCM 27/2/2004) che prevede il concorso tra tecnici dello Stato e delle Regioni che si rapportano per stabilire, ad esempio, il livello di criticità idrologico-idraulico sul territorio nazionale, regionale e locale. 

Anche attraverso le ordinanze il Paese si è dotato di una moderna rete di radar nazionali necessaria per stimare le idrometeore, rete che, ad esempio in Inghilterra, è operativa dagli anni '70. Ed anche una rete di stazioni al suolo efficiente e moderna, per sapere sempre che tempo sta facendo.

Sottolineo che questi sistemi di monitoraggio, che rappresentano di fatto gli "occhi" con qui si tiene sotto controllo il territorio, sono essenziali ma costano, perchè necessitano di manutenzione continua e di persone che ci stanno dietro.
Senza questi strumenti non è possibile sapere cosa sta accadendo e quindi ben difficilmente si può stabilire cosa potrà accadere nel prossimo futuro e quindi allertare i territori e le persone in tempi rapidi, almeno per quei fenomeni dove è possibile un preannuncio.  E quindi salvaguardare la vita dei cittadini.

Ebbene, piaccia o non piaccia, tutto questo è stato gestito ed oggi continua ad esserlo, attraverso l'applicazione della cultura dell'emergenza. Cioè grazie a finanziamenti straordinari, visto che continua a  perdurare quella latitanza dello Stato di cui si accennava poco fa, che continua ad essere poco "attento", nei fatti, al controllo del territorio, al di là delle esternazioni dei nostri politici, spesso anche molto forti, ma che spesso durano solo il tempo delle campagne elettorali. 

Oggi, per di più, lo Stato sta cercando di porre dei "freni" a questa cultura dell'emergenza, impegno che si rende necessario anche per garantire un maggior controllo della spesa pubblica. E questo è sicuramente, lodevole, se può evitare degli sprechi. Anche se, a mio parere, bisognerebbe guardare altrove, per evitare gli sprechi, ad esempio nel settore degli armamenti.

Dopo tale apprezzamento mi chiedo però anche che ne sarà della sicurezza del nostro territorio se, mentre da un lato si vuole frenare il ricorso alle procedure di spesa emergenziali, dall'altro non si percepisce un deciso cambiamento di rotta, che si concretizzi nel "varo" di politiche pluriennali necessarie per mettere in sicurezza il nostro territorio in modo strutturale. 

Impegni strutturali che non si intravedono nell'immediato futuro nei programmi di governo, sicuramente molto più preso a gestire la crisi finanziaria. Ne è un esempio l'attuale progetto di Riordino della Protezione Civile (DL 59 del 15 maggio 2012) all'interno del quale non viene neanche citato come sia strutturato il sistema di allertamento nazionale attuale, e quindi non si comprende con quali risorse si potrà continuare a gestirlo efficientemente in futuro.

Per non parlare poi dei meccanismi ipotizzati per il ripristino dai danni subiti dalle popolazioni e sul territorio, in pratica si parla solo dell'aumento delle accise della benzina e fi fare ricorso a strumenti assicurativi. 

Ho il timore che il finale possa essere il seguente: se ti si rompe la casa a causa di una calamità naturale, sempre meno interverrà lo Stato e sempre più dovrà il cittadino far fronte "da solo" alle riparazioni, magari chiedendo i rimborsi alle Assicurazioni che dovrà sovvenzionare con lauti premi annuali.

I soldi dello Stato serviranno sempre più per fronteggiare la Crisi e risalire la china del debito pubblico dentro i vincoli del pareggio di bilancio. Quindi molto difficilmente potremo finanziare (anche a debito) un serio programma di investimento finalizzato al risanamento strutturale del nostro devastato territorio.

Un motivo in più per ripensare le regole del gioco e ristabilire le giuste priorità, prima della prossima emergenza.

Carlo

1 commento:

  1. Il ministro Clini ha detto che servono 45 miliardi di euro per finanziare un programma di risanamento del territorio italiano. L'Italia deve finanziare il Meccanismo Europeo di Stabilità per 125 miliardi. Possiamo fare una "permuta" e stabilire, NOI CITTADINI, qual'è la priorità ? Il piano di risanamento del territorio, poi, avrebbe un fortissimo valore keynesiano e darebbe impulso all'economia reale mettendo in moto investimenti pubblici, imprese, servizi. Allora, cosa stiamo aspettando ? Il prossimo terremoto ?

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