martedì 27 agosto 2013

Il secondo principio della termodinamica e la spartizione della...felicità





In matematica una disuguaglianza è una relazione d'ordine che mette a confronto due entità. Ad esempio se A è un numero e B un altro numero, la disuguaglianza A<B ( il simbolo < indica "minore di") indica che il numero A è minore del numero B. Ad esempio: 2 < 3.

Le leggi della Natura, nel mondo della Fisica (ma non solo), sono espresse quasi sempre da uguaglianze, del tipo A=B. Ad esempio, il secondo principio della Dinamica di Newton, afferma che la forza applicata ad un corpo (la grandezza F) è UGUALE alla massa (m) di quel corpo moltiplicata per la sua accelerazione (A):

F = m x A

Sussistono però dei casi particolari in cui alcune leggi molto importanti della Natura sono espresse da disuguaglianze.

Tra tutte il secondo principio della Termodinamica è sicuramente la disuguaglianza più rilevante e sicuramente più nota anche se, duole dirlo, forse la meno compresa, almeno per quanto riguarda i suoi impatti sulla nostra vita. Il secondo principio della Termodinamica ha una importanza del tutto eccezionale, dal momento che stabilisce l'irreversibilità dei processi naturali. Ci dice essenzialmente che il "tempo" ha una direzione precisa, dal passato verso il futuro. E non si può tornare indietro. La cosa può far stupire, perché che il passato venga prima del futuro e quasi ovvio, per tutti noi. Però le leggi della Fisica (ad esempio la già citata F=Ma) è invariante se si rovescia la freccia del tempo. In sostanza, per molte delle leggi della Natura, il futuro potrebbe venire prima del...passato. E' solo il secondo principio della termodinamica che dice: no, non si può, grazie. Si può solo invecchiare, non ringiovanire. Bella fregatura !

Per dirla quindi in altro modo, questo fondamentale principio ci dice che esiste un verso privilegiato nella direzione della "vita" dei Sistemi Naturali. Ed è, purtroppo, il verso che conduce al "degrado" dell'energia e, quindi, della vita stessa dei Sistemi naturali, biologici, vegetali, nonché quelli sociali, che da "ordinati" possono solo divenire meno "ordinati", o "disordinati", ed infine morire. Questo se sono "isolati" dal resto dell'ambiente in cui sono collocati. Se non sono "isolati" dal resto dell'ambiente possono anche divenire più "ordinati", ma a scapito di tutti gli altri con cui interagiscono. 

Il livello di disordine di un sistema fisico si esprime, come noto, attraverso una grandezza che si chiama Entropia (in genere si indica con la lettera S), e la seconda legge della Termodinamica dice che l' Entropia di un Sistema (chiamiamolo sistema A), isolato dal resto dell'ambiente, può solo crescere nel tempo. Quindi, il livello di "disordine" del sistema A, se è isolato, può solo aumentare e non diminuisce mai spontaneamente. Si tratti di un sistema fisico, di un sistema biologico, sociale, non cambia la legge. Nel seguito faremo alcuni esempi per illustrare questo principio. 

Per tornare alla matematica, e alle disuguaglianze, la legge dell'aumento dell'entropia S di quel sistema isolato A si esprime nel modo seguente:
Se indichiamo con Delta(SA) la variazione di entropia del sistema A tra un istante di tempo 1 e un istante di tempo 2, cioè:   Delta(SA) = SA(tempo=2) - SA(tempo=1) 

allora varrà che:  Delta(SA) > 0,

oppure, che è lo stesso,  SA(tempo=2) > SA(tempo=1). 

Il segno della disuguaglianza non può cambiare: l'entropia di un sistema isolato non puo' mai calare, nel tempo. Ci sono delle implicazioni di fondamentale importanza che bisogna analizzare e che discendono da questo principio. Val la pena un attimo di analizzarle.

Se un sistema isolato A è a sua volta composto da un insieme di sottosistemi, ad esempio per semplicità solo da due sottosistemi  A1 e A2, allora l'entropia S complessiva del sistema A è pari alla somma delle entropie dei suoi sottosistemi, SA1 e SA2 e varrà che: 

Delta(SA) = Delta(SA1) + Delta(SA2)   > 0. 

il che significa che se il primo sottosistema A1 ha una Entropia SA1 che cala nel tempo (Delta (SA1)<0), il secondo sottosistema dovrà avere un'Entropia che cresce nel tempo. Per di più, la variazione (positiva) dell'entropia di A2 deve essere maggiore, in valore assoluto, della variazione (negativa) dell'entropia di A1. Questo perché il totale della variazione di entropia dei due sottosistemi A1 e A2 sia comunque positivo. 

In sostanza, due sottosistemi che interagiscono tra di loro e che si possono ritenere "isolati" dal resto dell'ambiente, non possono entrambi aumentare il loro livello di "ordine". Al contrario, se un sottosistema si "ordina", l'altro, inevitabilmente, si..."disordina". Sembra uno scioglilingua, e invece è solo la Natura delle cose. E la potenza, verrebbe da dire, la bellezza "mortale",  del secondo principio.

Il secondo principio della Termodinamica esprime quindi la disuguaglianza della vita. C'è una specie di "vaso comunicante", imposto dalla legge dell'aumento dell'Entropia, che regola questo flusso. L'energia che serve per ordinare uno dei due sistemi è in buona parte prelevata dall'altro, dove invece si scarica l'entropia e il disordine. Questo, ripetiamo ancora, se i due sistemi, assieme, costituiscono un sistema isolato.

Ovviamente i due sottosistemi, assieme, potrebbero simultaneamente auto-ordinarsi di più. In tal caso però l'energia per operare tale processo dovrebbe essere estratta per forza dal di fuori, e quindi il sistema non sarebbe più isolato, e ci sarebbe un terzo (o un quarto o un quinto ecc...) sistema che interagisce con i primi due che aumenterebbe il suo disordine. I tre sistemi (o quattro, cinque....), in questo caso, costituirebbero un super-sistema isolato...che in totale si disordina di più. E' implacabile, la legge dell'aumento dell'Entropia.
Si dice che l'Entropia dell'Universo, che è sicuramente un sistema chiuso e isolato, può solo crescere. E con essa il suo disordine...A meno che non ci siano Universi paralleli, ma questa può essere fantascienza.

Se esportiamo questo concetto anche ai sistemi sociali, come ad esempio i Paesi del mondo, l'organizzazione (e quindi la ricchezza) di un Paese o di un gruppo di Paesi può essere realizzata solo a scapito di Paesi terzi. Se l'unione di tutti questi paesi è un sistema isolato. Questa cosa mi ricorda...il...colonialismo ? Riprenderemo questo concetto tra un po', parlando della Terra.

Facciamo prima però un passo indietro, necessario: cosa si intende per "ordine" di un sistema e che cosa vuol dire mettere "ordine" ad un sistema sociale, come ad esempio può essere uno Stato ?
Si potrebbe dire che un sistema sociale è ordinato se evolve la sua vita nel tempo rispettando delle regole che frenano un suo possibile transito al disordine. Cioè al caos. Dove essenzialmente non esiste una parvenza di società civile, non ci sono regole, ognuno fa quello che vuole, non ci sono leggi oppure non vengono rispettate (verrebbe da dire che in uno Stato del genere uno può essere anche condannato in terzo grado, ma se ha le televisioni e un sacco di soldi,...magari gli fanno la grazia. Ma questa è una battutaccia, che però non fa ridere...)

Torniamo seri e facciamo due esempi per chiarire. 

Come primo esempio  pensiamo ad un plotone di soldati (il sistema A) che marciano in un cortile di una caserma in 9 file poste una dietro l'altra e composte ognuna da 9 soldati (il totale sono quindi 9*9=81 soldati). Non credo ci voglia molto a capire che, sicuramente, un tale sistema è più ordinato di un gruppo di 81 soldati che si muovano come vogliono in quello stesso cortile. Si comprende facilmente, anche da un esempio banale come questo, che l'ordine va imposto, non nasce spontaneamente; perché, al contrario il sistema, naturale o sociale che possa essere, transita quanto prima verso il disordine se lo si lascia libero. E' sicuramente meno faticoso (fisicamente e mentalmente) camminare come si vuole, piuttosto che marciare schierati all'interno di un plotone. Non serve alcuno sforzo per essere...disordinati, dopo tutto...

Come secondo esempio, pensiamo quanta fatica deve fare un direttore d'orchestra per far suonare in ordine i suoi concertisti, e magari un coro di uomini e donne che canti con l'orchestra. Deve dare gli stacchi, gestire le crescite e i cali di tonalità, dare il via al coro, curare l'armonia. Senza un direttore d'orchestra non è da escludere che un'orchestra possa suonare lo stesso, ma molto probabilmente il risultato finale non sarebbe un bel concerto: magari gli orchestrali potrebbero anticipare o ritardare i tempi di entrata o di uscita da una "frase" musicale, il coro stonare.... Si potrebbe anche raggiungere il caos, altro che l'armonia.

Il punto è che, per evitare che il disordine cresca è necessario compiere un lavoro... 

Nel caso specifico del plotone di soldati servono ore e ore di allenamenti per far camminare 81 persone in quell'ordine preciso. Nel caso dell'orchestra sono ore e ore di prove, prove, prove....e  urla, rimproveri, stress,...sudate del direttore d'orchestra.

E' teoria tutto ciò ?

No, non è teoria, ma la rappresentazione della nostra società.

E basta visitare un paese sottosviluppato oppure anche in lenta via di sviluppo per rendersi conto facilmente che tutto quanto detto prima non sia teoria. La regola dell'aumento dell'entropia che determina, di fatto, l'aumento delle disuguaglianze, è talmente evidente che lascia esterefatti. Almeno chi sappia o voglia, o abbia anche solo l'umiltà,...di  guardare.

Recentemente uno di noi due (Carlo) è stato in Messico, e ha verificato di persona come in una stessa città potessero convivere quartieri distanti tra loro poche centinaia di metri, dove macro-ordine e macro-disordine si contrapponevano; dove l'ordine forzato in un quartiere, guarda caso dove abitano le classi dominanti dei benestanti, di fatto preclude all'altro quartiere di ordinarsi, guarda caso quello dove abitano i più poveri. Questo avviene perché l'energia (la forza lavoro, ad esempio) che serve per ordinare e arricchire, ancora di più, il quartiere dei benestanti è estratta dal quartiere povero, disordinato, caotico, quello dei più poveri, che vede così crescere ancora di più il suo disordine. In quelle realtà urbane un numero molto ampio di uomini e donne dei quartieri più poveri svolgono lavori letteralmente da "schiavi" all'interno dei quartieri più ricchi, per guadagnare quei pochi soldi che servono loro per vivere. Probabilmente, se fosse possibile, potrebbero usare la propria "energia" per sistemare il loro quartiere, mettere un po' di ordine, ma farebbero fatica a trovare qualcuno che li paga, per questo.  

E con il disordine che cresce, cresce la povertà. E con la povertà...l'infelicità. L'infelicità che può avere un padre che vive, nel 2013, con la sua famiglia non in una casa decente, in muratura, ma in una "baracca" di legno e paglia e con il tetto di latta. E dove vede i propri figli morire da piccolini perché attaccati magari dai serpenti, che entrano all'interno di quelle baracche. Una ragazza conosciuta in Messico raccontava che nel suo paese ogni anno 4-5 bambini muoiono perché morsi dai serpenti, all'interno delle loro case-baracche ! In aggiunta, quei paesi o villaggi o quartieri sono, nell'anno 2013, ancora per la maggior parte sprovvisti di fognature decorose, sono privi di acqua potabile e divengono il ricettacolo di malattie infettive, oltre che luoghi di forte degrado. Dove la micro-criminalità ha pieno spazio di manovra e si perpetua e rafforza nel tempo proprio a causa dell'estrema povertà delle persone. E questa tragedia non puoi non vederla, se visiti quei posti, perché ti si presenta davanti agli occhi e la puoi misurare anche solo dagli sguardi di decine e decine di bambini che ti corrono dietro per venderti una bottiglietta d'acqua, un ananas, una coca-cola, per pochissimi denari.

A fianco dei quartieri poverissimi e degradati, a poche centinaia di metri, una microscopica minoranza vive invece in ricchissimi sobborghi (in Messico vengono talvolta chiamati "Fieste Americane", qualcuno indovini perché...) dove invece regna un ordine "svizzero", con giardini fioriti, curati, dove le persone, ben vestite, camminano in maniera ordinata per le strade, non ti urlano dietro, dove le auto non travolgono i pedoni, dove i cassonetti dei rifiuti ci sono e sono ben tenuti, dove le case hanno l'acqua potabile all'interno (in realtà hanno anche la piscina). E all'interno di quelle case-quasi-regge operano e si dannano (per pochi soldi) i cittadini che provengono dai quartieri poveri, caotici, degradati. Che cos'è tutto ciò se non energia "estratta" dai poveri che serve per far diventare più ricchi i già ricchi ? Una meravigliosa favola di Robin Hood, ma  al contrario...

Queste disuguaglianze tra esseri umani sono talmente evidenti e macroscopiche che si stenta a credere che possano essere reali, nel 2013, se non le si vede con i propri occhi, almeno una volta nella vita. Il livello di disuguaglianza tra le popolazioni dei vari stati del mondo è misurabile anche oggettivamente, per  altro, non si percepisce solo a livello "di pelle", come si usa dire. Esiste, ad esempio, un indice o coefficiente denominato Indice di Gini, inventato dal matematico italiano Corrado Gini, che misura esattamente il livello di Equità nella distribuzione del  "valore" all'interno di una società umana (ad esempio tra i cittadini di uno stesso stato, e/o tra Stati). La mappa dell'indice del mondo, visibile nella figura sottostante, evidenzia chiaramente quanto grandi siano le differenze tra gli stati e dove siano più evidenti le disuguaglianze.


Mappa mondiale del coefficiente di Gini che misura la diseguaglianza nella distribuzione del reddito. I paesi a coefficiente di Gini più basso (G < 0,3, verde scuro, verde, verde chiaro) sono i paesi dove il reddito è distribuito più equamente. Al contrario, quelli a coefficiente di Gini più elevato (G > 0,5, rosa, magenta, rosso) sono quelli dove la diseguaglianza nella distribuzione del reddito è maggiore.

Per ogni paese del mondo si può calcolare l'Indice di Gini che va da zero a uno: uno si ha quando sussiste la massima disuguaglianza, cioè un solo cittadino possiede tutta la ricchezza, mentre l'indice vale zero quando tutti i cittadini hanno lo stesso livello di ricchezza, che è una frazione, uguale per tutti, della ricchezza totale.

C'è sicuramente da stupirsi che accada tutto questo, nella nostra epoca così tecnologica.  Oppure no ?

Tornando ai concetti di termodinamica che discutevamo prima e applicandoli all'intero nostro pianeta, che contiene evidentemente tutti gli Stati, in primo luogo lo stupore nasce dalla constatazione che la Terra, nel suo complesso, NON si può certo considerare un Sistema isolato e che sia quindi ad Entropia (o disordine) crescente, come invece sembra che sia. Questo perché la Terra, come noto, riceve energia dal Sole, costantemente, da quando esiste (5 miliardi di anni). Ed è questa energia solare, come scrivono molto bene Vincenzo Balzani e Nicola Armaroli (nel seguito citati come: BA) nel loro bel libro ("Energia per l'astronave Terra", Zanichelli editore), che "inonda l'astronave terra", attivando i processi di fotosintesi delle piante, alimentando il ciclo dell'acqua, mantenendo la grande circolazione dell'atmosfera e quindi dando forza ai venti e agli Oceani. In  sostanza, il Sole dà la vita agli uomini rinnovando anche lo stoccaggio dei combustibili fossili che sono di gran lunga la risorsa più usata dall'uomo per produrre energia. Più dell'ottanta per cento della produzione di energia del mondo proviene dai combustibili fossili, e non già per diretta conversione dell'energia del sole, del vento, dell'acqua. Quella che si chiama, energia rinnovabile. E qui sta il problema, o gran parte di esso. Riprenderemo questo punto fondamentale tra un attimo.

L'energia prodotta dai combustibili fossili è oggi, per i paesi più sviluppati (i più "ordinati", per collegarsi al ragionamento che facevamo prima) assolutamente essenziale, visto che riesce a soddisfare l'enorme "densità di potenza" che essi richiedono (es.: dai 20-100 Watt/m2 di una abitazione a 300-900 Watt/m2 di una acciaieria, come riportano BA). Al momento, con le attuali tecnologie, solo tale forma di energia può soddisfare le grandi utenze terribilmente energivore.

Detto tutto questo, c'è da chiedersi perchè, con un Sole così benigno nel fornire al sistema Terra una costante, gratuita e inesauribile quantità di energia, lo stesso esistano così grandi disuguaglianze tra paese e paese. In pratica solo una piccola minoranza di paesi industrializzati sembra godere dell'input energetico solare, arricchendosi e "ordinandosi" grazie al consumo di enormi quantità di combustibili fossili. Al contrario per tanti altri paesi (spesso, come nel caso dell'Africa, un intero continente) l'energia non sembra impattare e produrre ricchezza e benessere. 


La risposta principale a questo interrogativo è che, purtroppo, i tempi di formazione dei combustibili fossili che costituiscono come detto la fonte primaria di energia, sono estremamente lenti e assolutamente non comparabili con i "rapidi" bisogni di energia del mondo tecnologico moderno. Tale energia è quindi teoricamente rinnovabile, ma è come se non lo fosse. Il Sole l'ha prodotta nei millenni e millenni di storia della Terra, stoccandola nei giacimenti di petrolio e di carbone sotterranei, ma l'uomo opulento (e ordinato !) dei paesi più ricchi la sta usando e consumando in tempi brevissimi, senza alcun controllo e senza, pare, alcuna riflessione sulle possibili conseguenze di questo abuso di utilizzo.

Questo sbilanciamento tra paesi ricchi e paesi poveri rende, di fatto, il sistema Terra, o per meglio dire: "Umanità sulla Terra", equivalente ad un sistema energicamente isolato e che tende nel suo complesso, quindi, al disordine. O se si preferisce...all'autodistruzione. Come ci dice il secondo principio, inesorabile, della termodinamica. Sono solo i paesi più tecnologicamente evoluti quelli che possono sfruttare tale energia, e quindi aumentare il loro "ordine" e quindi far crescere il benessere materiale dei loro cittadini. Questo avviene a scapito dei paesi poveri, che non si arricchiscono certo come "popoli", ma al contrario si impoveriscono, sempre come "popoli", ben inteso. Non certo come classi dominanti che anche in quei paesi poveri la fanno da padrone.  Anzi, per molti paesi poveri la disponibilità delle risorse petrolifere non è affatto causa di benessere, ma al contrario la causa dei problemi. Questo lo scrive, ad esempio, anche quel noto giornale marxista-leninista che prende il nome di "Sole 24ore"...(leggere qui). Stupiti ?

E la povertà fomenta le guerre, come scriveva il Pontefice Benedetto XVI, (leggi qui) che, guarda caso, vedono come teatro i paesi poveri, almeno da qualche decennio. La povertà e le guerre favoriscono, paradossalmente (?) i paesi ricchi, perché aprono e alimentano business molto redditizi, come ad esempio quelli del mercato delle armi, che guarda caso sono prodotte sempre nei paesi occidentali e che vanno poi a finire nei paesi africani e asiatici.

Continuando questo trend malefico di crescita delle disuguaglianze, i paesi sottosviluppati vedranno ulteriormente accresciuta la loro Entropia (cioè il loro disordine), a beneficio dei paesi sviluppati, o di quelli ad economia in fortissima espansione (es: Cina), che diverranno così ancora più sviluppati e quindi ordinati.
Tutto questo accadrà fino a quando l'energia verrà prelevata, fintanto che ce ne sarà da prelevare, dalla "pancia" della terra, dallo sfruttamento dei combustibili fossili, piuttosto che dalla diretta trasformazione dell'energia solare, come avviene ad esempio, e da sempre, nei processi fotosintetici delle piante.

In questa folle corsa (verso l'autodistruzione) del Pianeta, non resta che sperare che ci possa essere un ripensamento globale. Purtroppo non se ne vedono per il momento le premesse. Evidentemente troppi ancora hanno la presunzione di credere che i giacimenti petroliferi non si esauriranno mai, o che comunque questo non è un problema che ci si debba porre. O che si debbano porre gli attuali, pochissimi e ricchissimi, comandanti "dell'astronave terra", per usare la terminologia di BA, che di fatto pare se ne freghino di tutti gli altri (solo qualche miliardo di cittadini, mica tre o quattro...).

Ci sono parecchie maniere per cercare di frenare questa folle corsa che a noi sembra...suicida. 

Sicuramente è imperativo dare impulso all'utilizzo massiccio delle energie rinnovabili, che è divenuto un obiettivo vitale. Per fare in modo di sfruttare effettivamente e direttamente l'energia esterna proveniente dal sole e diminuire quindi il tasso di consumo di petrolio e in generale, delle fonti fossili che, di fatto, sono risorse non rinnovabili, come detto. Quando finiranno, la Terra ci metterà qualche bel milione di anni per ripristinarle, non i duecento-trecento anni che ci abbiamo messo per consumarle tutte. Purtroppo lo sforzo tecnologico da compiere per rendere le forme di energia rinnovabili (es.: fotovoltaico, eolico, idroelettrico) utili come adesso è il petrolio, vista l'enorme richiesta di "potenza" energetica, non è piccolo. C'è chi poi sostiene che i tempi che ci vorranno per aumentare l'efficienza delle rinnovabili, nel senso della elevata densità di potenza, possano essere troppo lunghi per evitare che una drastica riduzione dell'energia fossile faccia collassare tutte le economie della Terra. C'è chi questo l'ha già previsto da tempo (si ricorderà il Saggio sui "Limiti dello Sviluppo", prodotto dall'MIT, degli anni '70) . Noi vorremmo essere più ottimisti, anche se l'ottimismo si blocca tutte le volte che si vedono le macroscopiche disuguaglianze del mondo.

Ma non basta. E' necessario anche un ripensamento degli stili di vita dell'occidente iper-tecnologico e iper-ordinato. Subito. E questo ripensamento deve essere per primo fatto dai paesi ricchi e sviluppati. Poi da quelli con economia in via di forte crescita. Non certo dai paesi sottosviluppati che vivono con percentuali di energia risibili rispetto a quelle usate dai cittadini dei paesi ricchi. 
Le classi sociali più opulente dovranno iniziare ad abbassare un po', e necessariamente, i loro stili di vita. Che non significa che debbano divenire povere, significa solo che non dovranno pensare solo a diventare ancora più...stra-ricche. E' necessario, per lo stesso buon fine dell'umanità, operare un qualche livellamento tra le varie classi sociali.
Qualche decennio fa questa roba si chiamava....socialismo ! Oggi la parola è messa al bando, chi la utilizza deve farlo a voce bassa, altrimenti viene tacciato per vetero comunista che non ha compreso, ancora, come va il mondo. Appunto: come va il mondo ? La gente è felice ? Quanta ? Poca, sembra (leggi qui).

Vivere nel disordine significa vivere male. E vivere male significa vivere nell'infelicità. Quindi siccome molte più persone vivranno male, molte più persone saranno infelici, nel futuro. E questa è una facile previsione, se non si opererà qualche modifica. E i sempre più poveri continueranno a crescere di numero e per di più, e questo è l'INCREDIBILE PARADOSSO, con la consapevolezza di non poter godere della fortuna di vivere decorosamente in un Pianeta che è e sarà rifornito gratuitamente di energia da una stella magnifica come il nostro Sole.

Domande:

Può..."tenere" un mondo fatto di disuguaglianze sempre più forti ? 
E quale livello di disuguaglianza si dovrà mai superare affinché si inneschino dei processi, che potrebbero anche essere cruenti, di riequilibrio ?
Non è forse tempo che l'uomo "razionale" si impegni per equi-distribuire maggiormente la...felicità ?

Se i Paesi opulenti non capiranno per tempo la necessità di un tale ripensamento e se non inizieranno ad operare una più equa ridistribuzione delle risorse, con conseguente più equa distribuzione dell'ordine (o del disordine...) e quindi della...felicità, è bene però che non si facciano illusioni. Non ce ne sarà neanche per loro, di futuro, in un mondo in default

Perché la Natura livella gli estremi, come noto. Il secondo principio della termodinamica ce lo dice. E spesso il livellamento accade in modo catastrofico, anche. Cioé: può essere solo una questione di tempo. Può andar bene ancora a qualche generazione, ma poi finisce la "fiesta", per l'appunto..."americana". 

O forse qualcuno pensa di poter cambiare i principi della termodinamica ?   

Carlo e Sandro

sabato 25 maggio 2013

Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia


Leggo dal sito milano.repubblica.it 


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Da un lato i giudici d'appello del caso Mediaset scrivono che proprio lui, Silvio Berlusconi, è stato uno dei "responsabili di vertice di tale illecita complessa operazione", un sistema che ha portato avanti per anni, anche da premier, con la gestione di una "enorme evasione fiscale". Dall'altro la Cassazione mette nero su bianco che la richiesta di trasferire a Brescia i processi Mediaset e Ruby è stata ispirata da "strumentali esigenze dilatorie" e attuata muovendo "accuse infamanti" alle toghe di Milano. Un micidiale uno-due che Berlusconi commenta facendo però riferimento alla sola sentenza di Milano: "Motivazioni surreali".

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Mi sembra molto interessante il fatto che il processo di “abituazione” a simili notizie abbia innescato nella maggior parte di noi reazioni di apatia, indifferenza e incapacità di credere al valore delle parole che ci vengono dette. 

Non c’è reato che tenga. Ogni volta c’è una parte politica supportata da parte dell’opinione pubblica, giornalisti, reti televisive, che inneggia al complotto della magistratura. Quello che i giudizi dicono e fanno è un’azione politica e non giudiziaria, l’illecito non c’è,  si tratta di una persecuzione.
 
Il reato sembra perdere d’importanza, anche quando escono parole come mafia e corruzione, figuriamoci quando si parla "solo" di evasione fiscale e induzione alla prostituzione.
 
Niente è più certo. Anche quando sembra certo. Chiaro. Inconfutabile.

Eppure non è così per tutti.
 
Mi racconta Serena, un’amica che fa il funzionario in un ufficio di un piccolo comune: 

“Sono proprio depressa, non riesco più a fare il mio mestiere. Mi impongono di applicare le leggi rigidamente anche quando questa applicazione rigida contrasta obiettivamente il buon senso e crea un’ingiustizia. 

Sono in difficoltà con una persona che conosciamo bene, e che versa da anni in una situazione economicamente molto difficile e lo stiamo supportando da un po’. 

Ha fatto domanda per iscriversi nelle graduatorie per avere un alloggio popolare. Doveva però allegare anche la dichiarazione ISEE. Bene, lui l’ha fatto ed ha dichiarato zero. Per noi tutto regolare. Lo conosciamo, sappiamo che le cose stanno effettivamente così, ma la legge ci impone in caso di dichiarazione zero di fare dei controlli. 

Ci mettiamo a controllare, ma solo per adempiere alla formalità, certi del risultato, e vediamo che risultavano 158 euro guadagnate lo scorso anno. Chissà magari ha fatto un piccolo lavoretto in qualche struttura comunale, forse al cimitero, un lavoro su chiamata. 

Io sono sicura che si è dimenticato di mettere questa cifra… ma la legge mi impone di denunciarlo per avere omesso un reddito e di conseguenza perde la possibilità di essere inserito nella graduatoria per avere la casa. 

Ho provato a fare valere le mie idee, e a dire che il mio ruolo deve essere anche quello di valutare le situazioni. Come posso equipararlo a chi evade 15.000 euro ? 

Ma non c’è stato niente da fare. Mi hanno detto che devo applicare la legge senza fare questo tipo di considerazioni…”. 

Serena mi guarda con aria attonita.

Le cose non funzionano più. 

Da una parte una applicazione rigida e rigorosa con maglie strettissime che non ammettono neanche una leggera dimenticanza con i più deboli e che può consentire anche di falsare il principio di realtà che dice: quella persona ha veramente bisogno

Dall’altra parte una applicazione a maglie larghe, difficile da attuare, sempre controvertibile, con tutti i toni del possibile, in grado di falsare il principio di realtà che dice: quella persona è colpevole.

Non è un concetto nuovo. La storia ce l’ha già raccontato tante volte.
 
Passano i secoli ma sembra sempre lo stesso giorno raccontato dal quell’autore che ora non è più così in voga ma che ha accompagnato gli studi adolescenziali di tanti di noi, Alessandro Manzoni, nell’incontro tra Renzo e l’Avvocato Azzecca-garbugli. 

Ve lo riporto di seguito anche se immagino che molti di voi se lo ricordano ancora molto bene.
 
(da I promessi sposi – capitolo III)

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(…) Chiuse l'uscio, e fece animo al giovine, con queste parole: 
- Figliuolo, ditemi il vostro caso.
 
- (…) Mi scusi, signor dottore. Vorrei sapere se, a minacciare un curato, perché non faccia un matrimonio, c'è penale.
 
« Ho capito », disse tra sé il dottore, che in verità non aveva capito. « Ho capito ». (…)
 
- Caso serio, figliuolo; caso contemplato. Avete fatto bene a venir da me. E' un caso chiaro, contemplato in cento gride, e... appunto, in una dell'anno scorso, dell'attuale signor governatore. Ora vi fo vedere, e toccar con mano.
Così dicendo, s'alzò dal suo seggiolone, e cacciò le mani in quel caos di carte, rimescolandole dal sotto in su, come se mettesse grano in uno staio.
 
- (…) è una grida d'importanza. Ah! ecco, ecco -. La prese, la spiegò, guardò alla data, e, fatto un viso ancor più serio, esclamò: - il 15 d'ottobre 1627! Sicuro; è dell'anno passato: grida fresca; son quelle che fanno più paura. Sapete leggere, figliuolo?
 
- Un pochino, signor dottore.
 
- Bene, venitemi dietro con l'occhio, e vedrete. (…)
 
- Se bene, per la grida pubblicata d'ordine del signor Duca di Feria ai 14 di dicembre 1620, et confirmata dall'lllustriss. et Eccellentiss. Signore il Signor Gonzalo Fernandez de Cordova, eccetera (…).  E cominciando dagli atti tirannici, mostrando l'esperienza che molti, così nelle Città, come nelle Ville... sentite? di questo Stato, con tirannide esercitano concussioni et opprimono i più deboli in varii modi, come in operare che si facciano contratti violenti di compre, d'affitti... eccetera: dove sei? ah! ecco; sentite: che seguano o non seguano matrimonii. Eh?
 
- E' il mio caso, - disse Renzo.
 
- Sentite, sentite, c'è ben altro; e poi vedremo la pena. Si testifichi, o non si testifichi; che uno si parta dal luogo dove abita, eccetera; che quello paghi un debito; quell'altro non lo molesti, quello vada al suo molino: tutto questo non ha che far con noi. Ah ci siamo: quel prete non faccia quello che è obbligato per l'uficio suo, o faccia cose che non gli toccano. Eh?
 
- Pare che abbian fatta la grida apposta per me.
 
- Eh? non è vero? sentite, sentite: et altre simili violenze, quali seguono da feudatarii, nobili, mediocri, vili, et plebei. Non se ne scappa: ci son tutti: è come la valle di Giosafat. Sentite ora la pena. Tutte queste et altre simili male attioni, benché siano proibite, nondimeno, convenendo metter mano a maggior rigore, S. E., per la presente, non derogando, eccetera, ordina e comanda che contra li contravventori in qualsivoglia dei suddetti capi, o altro simile, si proceda da tutti li giudici ordinarii di questo Stato a pena pecuniaria e corporale, ancora di relegatione o di galera, e fino alla morte... (…). E questo ir-re-mis-si-bil-mente e con ogni rigore, eccetera. Ce n'è della roba, eh?
 
- (…) Se volete ch'io v'aiuti (…) dovete nominarmi la persona da cui avete avuto il mandato: sarà naturalmente persona di riguardo; e, in questo caso, io anderò da lui, a fare un atto di dovere. Non gli dirò, vedete, ch'io sappia da voi, che v'ha mandato lui: fidatevi. Gli dirò che vengo ad implorar la sua protezione, per un povero giovine calunniato. E con lui prenderò i concerti opportuni, per finir l'affare lodevolmente. Capite bene che, salvando sé, salverà anche voi. 

Se poi la scappata fosse tutta vostra, via, non mi ritiro: ho cavato altri da peggio imbrogli... Purché non abbiate offeso persona di riguardo, intendiamoci, m'impegno a togliervi d'impiccio: con un po' di spesa, intendiamoci. Dovete dirmi chi sia l'offeso, come si dice: e, secondo la condizione, la qualità e l'umore dell'amico, si vedrà se convenga più di tenerlo a segno con le protezioni, o trovar qualche modo d'attaccarlo noi in criminale, e mettergli una pulce nell'orecchio; perché, vedete, a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno è innocente.(…). D'ogni intrigo si può uscire; ma ci vuole un uomo (…).
 
- Quando (Renzo) ebbe però capito bene cosa il dottore volesse dire, e quale equivoco avesse preso, gli troncò il nastro in bocca, dicendo: - oh! signor dottore, come l'ha intesa? l'è proprio tutta al rovescio. Io non ho minacciato nessuno; io non fo di queste cose, io: e domandi pure a tutto il mio comune, che sentirà che non ho mai avuto che fare con la giustizia. La bricconeria l'hanno fatta a me; e vengo da lei per sapere come ho da fare per ottener giustizia; e son ben contento d'aver visto quella grida.
 
- Diavolo! - esclamò il dottore, spalancando gli occhi. - Che pasticci mi fate? Tant'è; siete tutti così: possibile che non sappiate dirle chiare le cose?
 
- Ma mi scusi; lei non m'ha dato tempo: ora le racconterò la cosa, com'è. Sappia dunque ch'io dovevo sposare (…) oggi una giovine, alla quale discorrevo, fin da quest'estate; e oggi, come le dico, era il giorno stabilito col signor curato, e s'era disposto ogni cosa. Ecco che il signor curato comincia a cavar fuori certe scuse... basta, per non tediarla, io l'ho fatto parlar chiaro, com'era giusto; e lui m'ha confessato che gli era stato proibito, pena la vita, di far questo matrimonio. Quel prepotente di don Rodrigo...
 
- (…) eh via! Che mi venite a rompere il capo con queste fandonie? Fate di questi discorsi tra voi altri, che non sapete misurar le parole; e non venite a farli con un galantuomo che sa quanto valgono. Andate, andate; non sapete quel che vi dite: io non m'impiccio con ragazzi; non voglio sentir discorsi di questa sorte, discorsi in aria.
 
- Le giuro...
 
- Andate, vi dico: che volete ch'io faccia de' vostri giuramenti? Io non c'entro: me ne lavo le mani -. E se le andava stropicciando, come se le lavasse davvero. - Imparate a parlare: non si viene a sorprender così un galantuomo.
 
- Ma senta, ma senta, - ripeteva indarno Renzo: il dottore, sempre gridando, lo spingeva con le mani verso l'uscio; e, quando ve l'ebbe cacciato, aprì, chiamò la serva, e le disse: - restituite subito a quest'uomo quello che ha portato: io non voglio niente, non voglio niente.
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Come dire: niente di nuovo sotto il sole….

Silvia.

lunedì 6 maggio 2013

La rinascita della sinistra: realtà o utopia ?


Questa scena del film "la meglio gioventù" (il riferimento a questo post inizia al minuto 3,35, per l'esattezza) di Marco Tullio Giordana, che invito a riguardare essendo senza dubbio uno dei più bei film italiani degli ultimi anni, a mio parere illustra bene la crisi della "sinistra" italiana, che non sembra più in grado di trovare delle risposte e proporre delle concrete alternative al dilagare dello strapotere di questo neoliberismo senza freni. Dove il "mercato globale"  e soprattutto la "finanza senza freni" azzerano ogni valore etico, dettano le regole agli Stati stabilendo quali sono quelli che possono o devono fallire, quali industrie devono chiudere lasciando a casa tantissimi lavoratori e trascinando nella disperazione migliaia di famiglie. E' questo imperante concetto di Crescita senza limiti e spesso senza regole che toglie, di fatto, il valore al "lavoro", che è da sempre il cardine su cui si sono basate le civiltà nella storia, frustrando le speranze di tanti giovani seri, capaci e preparati che non riescono a trovare spazi di lavoro. Al contrario invece alimenta le fortune di avventurieri senza scrupoli che si arricchiscono muovendosi nei meandri del mondo virtuale della finanza, dei titoli "drogati", senza provare il benché minimo imbarazzo per gli impatti che le speculazioni finanziarie producono sui cittadini.

Guardiamo bene questa scena. Si vedono tre giovani uomini, il protagonista principale del film, Nicola Carati (impersonato dall'attore Luigi lo Cascio) e due suoi amici da tanti anni, Carlo e Vitale, esponenti (da giovani) della sinistra extra-parlamentare, attiva negli anni '70. Vitale, l'amico siciliano, è l'operaio, quello che non ha studiato, che racconta ai due amici di essere stato messo in cassa integrazione dalla FIAT.  Nicola è l'eroe positivo della storia, lo studente di medicina, il giusto, che lotta per migliorare il mondo con le armi dell'onestà e della competenza. Con i suoi ideali e il suo impegno però, purtroppo, è stato incapace di aiutare le persone che ama di più: la moglie lo lascia e diventa una terrorista delle BR, e soprattutto suo fratello, Matteo, addirittura si toglie la vita per una manifesta incapacità di vivere. Luigi vive quindi un doppio dramma, personale e politico: la sua voglia di migliorare il mondo, aiutare le persone, non gli è sufficiente per contrastare le negatività della vita. A cosa servono le sue buone idee se non riesce ad alleviare le pene neanche delle persone a lui più care ?

Il terzo della scena è Carlo, il più intellettuale di tutti, anche lui, come detto, con un passato di sinistra extra-parlamentare e che adesso è divenuto un perfetto borghese e ha rivisto parecchio le sue posizioni, anche se manifesta in certi atteggiamenti ancora una forte malinconia per quel suo passato caratterizzato da una grande voglia di cambiamento, che ora gli appare solo un ricordo. Lavora in Banca d'Italia, ha un posto importante e che diverrà anche più importante negli anni successivi, e comincia a rendersi conto, amaramente, che il mondo sta transitando verso una deriva neo-liberista, con il mercato che si sta facendo sempre più "globale" e che ha come unica regola il "profitto", piuttosto che il rispetto per il lavoro delle persone. 

Siamo all'inizio degli anni '80, la svolta della Bolognina che sancì la fine del PCI non era ancora giunta, e già le prime avvisaglie che il mondo stava modificandosi erano già arrivate, con la conseguente crisi del mondo del lavoro che si sarebbe acuita durante gli anni '90 e in quelli successivi. Già in quegli anni si iniziava a parlare di mercato globale, e nella scena Carlo ne fa esplicito riferimento, che metterà in crisi la vecchia industria che sopravviverà fino a metà degli anni '80 per poi iniziare a sfaldarsi nei decenni successivi (vedi qui per un approfondimento). Si legge, nel documento della Banca d'Italia a cui si fa riferimento: "... nel corso degli  anni ’90 il mondo è mutato in modo radicale, si sosteneva, sia nelle tecnologie dominanti sia nell’estensione dei mercati; il nostro sistema produttivo, dominato da imprese piccole, statiche, tradizionali e familiari, si era adattato a sopravvivere nel vecchio mondo degli anni ’70 e ’80 proprio grazie a quelle caratteristiche, ma ora incontra crescenti difficoltà a reggere la competizione in un contesto digitalizzato e globalizzato, in cui grande dimensione, complessità, capacità innovativa sono essenziali per sfruttare i guadagni di efficienza offerti dalle nuove tecnologie e affermarsi su mercati lontani ".

Nella scena, quando l'operaio Vitale informa gli amici che la FIAT lo sta per licenziare, ottiene da loro, sostanzialmente, due incomprensioni. Il protagonista del film, l'idealista Nicola, si ribella contro questa ingiustizia, non si spiega, lui così progressista, bempensante, coma possa accadere una cosa del genere. Però, nel concreto non ha risposte da dare all'amico, in realtà non sa proprio cosa dire e allora si rivolge all'amico "Intellettuale", a Carlo, il futuro "potente", quello che lavora con i banchieri, e gli chiede cosa si può fare per risolvere il problema del comune amico operaio. Ma Carlo appare addirittura quasi infastidito dall'incalzare di Nicola. E con fare distaccato, imbarazzato, spiega che la FIAT è in perdita, non regge ai nuovi mercati, e gli operai non possono fare nulla per modificare questo trend. In sostanza non si "arrabbia", come avrebbe fatto da giovane, vedendo quell'ingiustizia che sta di fronte ai suoi occhi, ma al contrario cerca delle giustificazioni "alte", parla di economia e di mercato globale, di nuovi processi industriali calati sulle teste dei lavoratori impotenti, che rendono quasi... giustificabile quella scelta della FIAT. C'è imbarazzo palese nel suo comportamento; Carlo si rende conto di non aver dato alcuna risposta giusta al suo amico operaio, che forse si aspetterebbe di più da lui, dall'intellettuale amico ex-comunista, che da giovane si riempiva la bocca con i concetti di giustizia, di lavoro...Ma oltre all'imbarazzo non manifesta altri sentimenti nè osa dare altri suggerimenti. La perdita del lavoro è una conseguenza inevitabile della modifica della società. Voluta da pochi uomini contro moltissimi altri uomini. Carlo queste cose le sa, ma lo stesso tace.

In sostanza emerge un quadro abbastanza desolante. 

Nella sinistra "tradizionale" da una parte ci sono i "concreti", i "professionisti" dell'economia e della politica, venuti su da giovani con il sacro fuoco degli ideali marxisti, e che hanno capito (e/o deciso di accettare) che è una gara persa combattere contro questo mondo globalizzato, dove regna il finanz-capitalismo che usa le persone come strumenti. E quindi hanno deciso di accettare questo dato di fatto tentando, al massimo, di inserire qualche pillola di saggezza (mi verrebbe da dire, di sinistra) all'interno delle dinamiche del "profitto", per alleviare le tribolazioni delle classi sociali più basse. E' il massimo che possono fare per non rinnegare il loro passato di "sinistra", dopo tutto.

Dall'altra parte ci sono invece gli idealisti, i "puri", quelli che sognano un mondo "giusto", dove il mercato non può essere l'unico "driver" della società, e sognano ancora una terra con più eguaglianza, con meno poveri e con uno "spread" tra le classi sociali meno ampio. Purtroppo per loro però non sanno assolutamente come fare. In diversi anni di "revisionismo" non hanno saputo produrre un progetto di politica economica concreto, alternativo al neoliberismo. Ci hanno provato ?  Forse si, ci avranno anche provato, ma la società sempre più opulenta li ha impigriti, imborghesiti, e ha annacquato le loro idee di cambiamento, facendoli annegare in un benessere di facciata che non ha  però azzerato il loro senso di colpa. In sostanza, si compiangono. Sono delle bravissime persone ma rappresentano un passato che non potrà esistere più. 

In mezzo a questi due "fronti" contrapposti esiste una marea di sfaccettature o interpretazioni diverse all'interno delle quali naviga il moderno e disorientato uomo "di sinistra". Ma queste modalità diverse di interpretare la moderna sinistra non hanno (o hanno avuto fino ad oggi) alcun ruolo positivo, al contrario sono solo servite a far crescere la confusione e le divisioni (laceranti) interne. 

Forse è tempo che si dia il via ad una riflessione profonda, interna alla sinistra, iniziando una fase di studio dalla quale possa nascere una nuova idea di società, di economia, per la quale vivere e combattere. Con delle "ricette" concrete di politica economica, però, con delle strategie chiare di politica internazionale, che rilancino anche la dignità del nostro essere "italiani" creativi nel palcoscenico europeo, dove da troppi anni siamo più o meno considerati come dei "mezzi" cittadini, per non dire di peggio.

A mio avviso, per far rinascere queste nuove idee, questa "nuova sinistra", non serve la ribellione cieca, non serve la rivoluzione dissennata che produrrebbe una nuova era della tensione, analoga o peggiore di quella degli anni '70. Serve, al contrario, una rivalutazione della forza della ragione, che ci permetta di coniugare la modernità del mercato globale con la dignità degli uomini, che non può essere mai e in alcun modo calpestata. 

Io credo che sia necessario provarci, ma ci vorrà una grande pazienza e dedizione, che devono però essere sempre sostenute da un forte ideale di giustizia, che deve rimanere sempre acceso, qualunque sia lo schema di economia o di società che si vorrà proporre.
Di nuovo il sogno che alimenta le idee. E' un concetto già espresso, ma bisogna ribadirlo e convincersi che l'utopia può anche diventare realtà, a volte, se lo si vuole. La realtà di una "Nuova Sinistra" che sappia rinascere, forte e vigorosa, dalle ceneri in cui si trova adesso.


Carlo

martedì 30 aprile 2013

Il principio di realtà, il sogno, la...felicità



Sigmund Freud, inventore della psicoanalisi, studiò i comportamenti umani analizzando, come noto, i sogni, e scoprì che esistono due modi fondamentali con cui funziona la mente: ci sono i processi primari che caratterizzano l’inconscio e quelli secondari del sistema cosciente. Nel caso dei processi primari l’energia vitale che determina i comportamenti fluisce senza ostacoli e non è subordinata a vincoli etici o di altro tipo (ad esempio sociali) e ha come unico scopo il soddisfacimento dei desideri. Questa pulsione è denominata “Principio del Piacere”. Nel caso dei processi secondari invece l’energia è “frenata” da regole sociali e/o etiche e talvolta il piacere viene o negato o magari solo differito. 

La ricerca della soddisfazione “pura” è tipica dei bambini che, come noto, non si pongono remore comportamentali (almeno finché sono piccoli), e mira a una gratificazione immediata, non trasferibile a momenti successivi. Il “Principio di realtà” è invece la pulsione che regola il raggiungimento del piacere nel mondo degli “adulti”, e funge da regolatore della libertà individuale, dal momento che in certi casi può anche negare il raggiungimento della felicità individuale se questa si ottiene senza il rispetto delle regole prefissate dalla società (per approfondimenti sul tema si può guardare qui, la letteratura su questi argomenti è veramente sterminata. Suggerisco anche un filmatino carino, che può piacere a grandi e piccoli, si scarica da qui).

Questa premessa un po’ didattica (mi scuseranno gli studiosi di psicoanalisi se ho banalizzato troppo) è però necessaria per fare un po’ di chiarezza (almeno a me stesso) sul tema, dal momento che in questi ultimi tempi ho sentito più volte tirare in ballo questo “freudiano” Principio di realtà in diverse situazioni (interviste, saggi, articoli su giornali ecc.), da parte di personalità della politica, dell’economia, della cultura. Tutte che si affannavano nel cercare di spiegare l’obbligo di far riferimento a tale principio di realtà nel momento del confronto con i cittadini, quando li si deve convincere a deglutire “pillole amare”, ma necessarie, per far fronte alla moltitudine di crisi diverse (economica, politica, di valori) che attanaglia il mondo moderno attuale.

E’ in sostanza citato il principio di realtà quando ci viene detto che non si deve più essere certi del lavoro, che forse da diritto sta diventando sempre più un opzional, non si deve più ritenere garantita la disponibilità di alcuni beni comuni; è il principio di realtà che viene citato quando si obbligano i cittadini a pagare a caro prezzo tutti i debiti contratti dagli speculatori, che operano in mondi spesso lontani anni luce dalle nostre realtà di città e paesi, e questo per i prossimi decenni. E’ infine citando il principio di realtà che si mette in crisi lo stato sociale che i nostri nonni, padri, hanno lottato per avere. Ad esempio la garanzia dell’assistenza sanitaria per tutti e a prezzi affrontabili. L’utilizzo di questo “tormentone” del Principio di Realtà è molto vasto. Ci limiteremo solo a qualche esempio per inquadrare il tema.

Ad esempio molto interessante è il fondo di Sergio Romano dal titolo eloquente: “Il principio di realtà” che suggerisco caldamente di leggere. Nell’articolo l’autore, all’inizio, ci spiega che le regole della democrazia si fondano sulla possibilità di scegliere, attraverso le elezioni, i propri governanti. I quali, per attirare consenso, devono (o dovrebbero) spiegare le loro tesi argomentando di temi “alti” che interessino le persone, entrando nel merito delle questioni. Cosa che, però, non avviene, in Italia, oppure avviene molto di rado. Questa scarsa propensione al confronto sui contennuti, precisa Romano, è dovuta ad una sorta di mancanza di coraggio nel voler spiegare ai cittadini come le regole tradizionali che regolano il mondo, ad esempio nell'economia, si siano modificate, e forse non esistano addirittura più. 

L'autore sottolinea testualmente: "... oggi, nell’eurozona non è possibile stampare o svalutare moneta, imporre dazi sulle importazioni e, soprattutto, impedire che i mercati giudichino l’attendibilità dei nostri bond fissando il tasso d'interesse che lo Stato italiano dovrà pagare a chi gli presta il suo denaro”. In sostanza non siamo più “liberi” di agire, pur avendo il diritto di eleggere chi ci piace, almeno in teoria. "Abbiamo un’economia ingabbiata”, aggiunge, “ostaggio di settori privilegiati e organizzati che non hanno altro obiettivo fuor che quello di difendere i loro diritti acquisiti”. E infine chiude: “..uno studio recente dell'International Monetary Fund, citato dall’Economist, sostiene che lo smantellamento di queste fortezze, con un alleggerimento della pressione fiscale, regalerebbe all'Italia, in dieci anni, un aumento del Pil pari al 20%. Ma sulla strada di quell'obiettivo vi sono i cavalli di Frisia degli interessi personali e corporativi. Al Paese occorre un governo che abbia il coraggio di abbatterli".
Si capisce facilmente che se questi sono i contenuti reali, pochi politici possano avere il coraggio o la voglia di raccontarli ai cittadini, dal momento poi che i margini d’intervento per modificare queste regole sono di fatto quasi assenti, nel mercato globale nel quale ci troviamo a convivere. 

Cambiando lo scenario, scendendo di scala per passare dai problemi globali sino ai recenti accadimenti casalinghi di casa nostra, più o meno “tristi” (il tormentone dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, il recente “governissimo” di Enrico Letta che tanti mal di pancia sta producendo a tutta la sinistra storica italiana), mi sono imbattuto in questo interessante pezzettino datato 24 aprile 2013, dal titolo curioso: “Sondaggio. Enrico Letta premier: principio di realtà o inciucio? “. Ne suggerisco la lettura, vedi qui.
Di nuovo il Principio di realtà. Leggo, ed è cosa nota, che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano avrebbe scelto Enrico Letta per realizzare un esecutivo di larghe intese, sostenuto da Pd-Pdl e da Scelta Civica. In tale circostanza, nella direzione Pd, a sostegno di questa scelta, c’erano alcuni che raccomandavano ai colleghi di attenersi, di nuovo (!) al “principio di realtà” che si fonda su alcune certezze: c'è una crisi che non ha ancora dispiegato tutti i suoi effetti, c'è un forte scontento sociale e infine ci sono anche degli interlocutori inaffidabili (in questo caso il Movimento 5Stelle di Beppe Grillo che ha sempre rifiutato il dialogo). L'unica via di uscita è, allora, dar vita ad un grande governo, un “governassimo”, dove ci siano dentro forze politiche di destra e di sinistra. Se poi creare un siffatto "minestrone" possa voler dire tradire qualche milione di elettori che non volevano per nessun motivo al mondo un governo del genere,... va be, questo è un dettaglio. Il principio di realtà è puro "acciaio", ci deve guidare, sempre e comunque: unico faro che illumini il buio delle scelte possibili (o impossibili...). Sta di fatto che questo accadimento sta creando un reale fortissimo turbamento nel mondo della sinistra, potrei chiamarlo... “infelicità”.   

Se si prova a leggere in giro, si trova scoramento ovunque. Leggo a puro titolo di esempio un fondo di Chiara Bert di qualche giorno fa che racconta del travaglio della “base Pd” in Trentino. Si legge testualmente: “Nelle ore che precedono il varo del governo Letta, anche in Trentino la base democratica vive il suo travaglio, fa i conti con il principio di realtà (di nuovo !), s’interroga sulle possibili vie d’uscita." Si parla di dilemma etico, di contrarietà logica oltre che ideologica a un governo PD-PDL. Si parla di incoerenza nel perorare una scelta del genere, che però viene urlata come "ineluttabile", perchè ce la impone, guarda guarda, un immarciscibile principio di realtà. 

Addirittura qualcuno afferma di dover “elaborare un lutto” perché la realtà non mostra possibilità di uscite. E infine la frase che più mi colpisce. Leggo testualmente una dichiarazione che recita: “….Napolitano non scherzava, non possiamo fare i puri all’infinito,...”. Strabuzzo gli occhi: avere un’idea e mantenerla per più di un mese è divenuta cosa che, oggi, non ci si può più permettere di avere ? Tutto deve essere volatile ? Magari anche l’amicizia per un amico, la fedeltà a un gruppo, l’amore per un’idea. 

E allora alcune domande nascono subito: Ma è giusto accettare tutto, venire a patti con chi non si vorrebbe, rinnegare il proprio passato, pagare per debiti che non si sono contratti, e magari per far arricchire chi ci ha impoverito, in nome di un “principio di realtà” ? Ma, innanzi tutto è vera questa realtà grigia che ci attanaglia ? E ammesso che sia vera, siamo stati noi la causa di quello che sta accadendo ? 
Per rispondere a questa serie di domande, bisogna fare prima un distinguo, altrimenti, giustamente, si può essere accusati di essere degli “sfascisti” o, peggio, dei provocatori.

A mio parere il rispetto di questo principio, al quale tutto si deve anteporre, compresa la felicità, è assolutamente obbligatorio e dovuto se la realtà e le regole sociali sono la realtà e le regole sociali che tutti gli uomini si sono date. E sottolineo: tutti. Se in un condominio viene deciso, da tutti i condomini riuniti in assemblea, che una saletta del palazzo viene adibita allo svolgimento di una certa attività dalle 14 alle 15 di un dato giorno la settimana, allora nessuno si lamenterà di non poterne disporre per uso personale, quel giorno e a quell'ora. 

Ma vale lo stesso il discorso se le regole le decidono in pochi, pochissimi, a discapito della stragrande maggioranza dei cittadini del mondo ? E unicamente per tutelare solo interessi di parte ? Tornando all'esempio del condominio, se la decisione di "bloccare" quella saletta fosse di un solo condomino, gli altri l'accetterebbero di buon grado ? Direi proprio di no, e avrebbero ragione da vendere.

Per capire chi è questa "casta", questi pochissimi che governano il mondo, val la pena ascoltare le parole di Eduardo Galeano, un grande della letteratura e della cultura dell’America Latina, in questa intervista, che tratta della distribuzione della ricchezza del mondo (vedi qui). Riflettiamo su queste parole. Fin dall’inizio dell’apertura di questo blog abbiamo battuto sui temi della sovranità perduta dei popoli per causa delle speculazioni delle grandi lobbies della finanza. Che scatenano guerre, cadute di governi, default di Stati, impoverimenti di massa, disperazione. E che muovono enormi capitali da una parte all'altra del mondo in pochi microsecondi (ne abbiamo più volte parlato in questo blog, vedi ad esempio qui e qui). Nelle mani di questi potentati ci sono i destini di imprese, fabbriche, di centinaia di migliaia di famiglie, di milioni di persone. Quelle regole imposte caratterizzano i "principi di realtà" che ci vengono venduti come verità ineluttabili. E che ci impediscono di vivere  bene le nostre vite.

Io non sono assolutamente in grado neppure di ipotizzare come si possa fare a uscire da questo gigantesco tunnel buio in cui l’umanità è caduta, almeno da 15-20 anni. Probabilmente non esistono metodi razionali per riuscirvi, e io certamente, se esistono, non li conosco. Come affrontare questi temi è lo scopo di una nuova politica, a mio parere. 
Ma la politica, perchè sia nuova, deve essere alimentata anche da...sogni. Già, dai sogni, e non sembri una battuta. Perchè senza sogni, cioè senza speranza di miglioramento, non nascono le idee innovative. Ma solo le stesse minestre riscaldate che mantengono, inevitabilmente, lo status quo...

E nessuno può impedirci di...sognare un futuro diverso, dove le “vere” regole sono quelle che si danno i popoli, tutti i popoli del mondo. Nessuno può impedirci di sognare che qualcosa si possa modificare, che si possa uscire dal "buco nero" della povertà, nel quale gran parte dei cittadini del mondo è già precipitata. Nessuno può negarci la speranza. E la speranza ha una forza dirompente, illumina il buio, rende serene le giornate nuvolose e grigie.
  
Questi concetti li ha espressi molto meglio di quanto sappia fare io un grande uomo, Roberto Saviano, qualche giorno fa in una trasmissione televisiva, usando come esempio le vicende del movimento pacifico che in Cile vinse il referendum contro Pinochet. E quei comunicatori portarono alla vittoria i nemici di Pinochet proprio perchè "inondarono" il popolo con spot pubblicitari che offrivano immagini "positive" e piene di speranza. Non aggredivano i nemici, quei grandi nemici che si erano macchiati di crimini anche efferati negli anni della dittatura. Vale la pena di riascoltare il discorso di Saviano (vedi qui) e, se posso suggerire, farlo sentire anche alle nuove generazioni.

Tra l'altro, alla fine del suo racconto, Saviano ha recitato uno straordinario scritto di Eduardo Galeano, del quale ho “catturato” alcune frasi sparse, che credo sia utile offrire ai lettori di “Piazzaverdi” in chiusura di questo post. 
Eccole, non serve assolutamente un nuovo commento, tanto sono dirette e piene di significato: 
“ … le Nazioni Unite proclamarono le grandi liste dei diritti umani: tuttavia la stragrande maggioranza dell’umanità' non ha altro che il diritto di vedere, udire e tacere. Che direste se cominciassimo a praticare il mai proclamato diritto di sognare? Puntiamo lo sguardo oltre l’infamia, per indovinare un altro mondo possibile: l’aria sarà pulita da tutto il veleno che non venga dalle paure umane e dalle umane passioni;….la gente lavorerà per vivere, invece di vivere per lavorare;… ai codici penali si aggiungerà il delitto di stupidità che commettono chi vive per avere e guadagnare, invece di vivere unicamente per vivere, come il passero che canta senza saper di cantare e come il bimbo che gioca senza saper di giocare;…Gli economisti non paragoneranno il livello di vita a quello di consumo, ne’ paragoneranno la qualità della vita alla quantità delle cose;…… i politici non crederanno che ai poveri piaccia mangiare promesse;….nessuno sarà considerato eroe o tonto perché fa quel che crede giusto invece di fare ciò che più gli conviene; il mondo non sarà più in guerra contro i poveri ma contro la povertà, e l’industria militare sarà costretta a dichiararsi in fallimento; il cibo non sarà una mercanzia, ne’ sarà la comunicazione, un affare, perché cibo e comunicazione sono diritti umani;….la Chiesa stessa detterà un altro comandamento dimenticato da Dio: “Amerai la natura in ogni sua forma”; saranno riforestati i deserti del mondo e i deserti dell’anima; i disperati diverranno speranzosi e i perduti saranno incontrati, poiché costoro sono quelli che si disperarono per il tanto sperare e si persero per il tanto cercare; saremo compatrioti e contemporanei di tutti quelli che possiedono desiderio di giustizia e desiderio di bellezza, non importa dove siano nati o quando abbiano vissuto, giacché le frontiere del mondo e del tempo non conteranno più nulla; la perfezione continuerà a essere il noioso privilegio degli dei; però, in questo mondo semplice e fottuto ogni notte sarà vissuta come se fosse l’ultima e ogni giorno come se fosse il primo “.

La nostra società italiana non è per fortuna buia e opprimente come poteva essere quella del popolo cileno ai tempi di Pinochet, ma si sta purtroppo lo stesso impoverendo ogni giorno di più. Anche in Italia aumentano a dismisura le persone che ogni giorno perdono il lavoro, la povertà sta crescendo in modo vertiginoso, nuove tensioni sociali si stanno proponendo a causa delle ristrettezze economiche che si fanno ogni giorno più accentuate. 

E allora, in questo contesto sempre più grigio, mi sta nascendo una gran voglia di tornare a sognare, di tornare a credere che possa essere ancora possibile riavere un paese normale, vivo, forte, pieno di voglia di fare e di speranza per il futuro. Come doveva essere, ritengo, negli anni del secondo dopoguerra, dove la speranza del futuro, dopo le bombe e tutti quei morti  ammazzati, cementò un forte senso dello stato tra i cittadini, rafforzò la solidarietà, permettendo quel gran miracolo economico che fu la ricostruzione. 

E sogno anche il ritorno ad una Italia con una “destra” moderata e non reazionaria, una “sinistra” riformista, dove possa tornare ad esserci un confronto pacato sulle idee. Un'Italia dove un governo possa governare senza necessariamente dover far ricorso a "inciuci" tra destra e sinistra, che non riesco proprio a credere si possano trovare concordi quando si tratta di decidere su argomenti come lavoro, stato sociale, gestione delle ricchezze, garanzie e beni comuni, scuola pubblica o privata, sanità.

I sogni non costa niente coltivarli, alimentano la speranza, creano le motivazioni per proporre idee nuove, giovani, fresche. Avere speranza fa ringiovanire, e qui non posso non ripensare al protagonista del film di Roberto Faenza, Sostiene Pereira”, tratto dall’omonimo libro di Antonio Tabucchi, dove un meraviglioso Marcello Mastroianni/Pereira si libera infine del suo “fardello” di consuetudini, obblighi, vigliaccherie, paure, causate dalla accettazione supina delle migliaia di “principi di realtà” imposti dalla dittatura di Salazar, e decide di combattere, come sa e come può. 
E il suo cammino a testa alta, con un giacchetto sulle spalle come potrebbe indossare un ventenne e non un uomo già anziano, in una Lisbona illuminata dalla luce del sole, riempie i nostri cuori di speranza e di felicità. Sentimenti che regalo con grande affetto ai lettori di Piazzaverdi...

Carlo.

sabato 6 aprile 2013

Il Timer


“Educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco”
(William B. Yeats)

La maestra Anna mi viene vicino con un tono un po’ afflitto. Una mamma le ha raccontato cosa sta succedendo nella scuola dell’infanzia di suo figlio e lei non se ne capacita.
 
Le maestre del bimbo, che ha quattro anni, dicono che  è molto oppositivo.
 
Prima di Natale spingeva gli altri bimbi e  ora fa delle cose strane. Ad esempio si tira giù i pantaloni e fa finta di fare la pipi come il suo nuovo gattino, oppure quando per merenda c’è il latte fa finta di bere dal contenitore come se fosse una ciotolina: alle maestre è sembrato che ci sputasse dentro.
 
La mamma è sconvolta non tanto da quello che fa sua figlio, ma dall’atteggiamento delle maestre. Sembrano molto sicure di sé: “il bimbo fa delle cose strane e ci mette  in difficoltà”.
 
La maestra Anna cerca di capire: “ma ti hanno parlato? Avete lavorato assieme?”.
 
La mamma le risponde che nell’ultimo periodo, lei a casa è stata molto vicina al figlio, ha cercato di capirlo. Ha anche pensato che forse sbaglia, perché non riesce a vedere la gravità della situazione. Tutto sommato infatti, per lei suo figlio è facile:  fa delle sciocchezze è vero, ma è ancora piccolo e lo si recupera facilmente.  La sorella  ad esempio, è decisamente più vivace.
 
A casa le cose vanno meglio, invece a scuola no.
 
Così le maestre hanno intensificato le punizioni. Per esempio per il discorso del latte l’hanno tenuto seduto abbondantemente e poi l’hanno anche fatto mangiare da solo.

Le punizioni devono essere esemplari dicono le maestre, perché altrimenti anche gli altri possono sentirsi autorizzati a fare le stesse cose. 
 
Nell’ultimo colloquio le maestre le hanno detto che non serve attivare altre strategie educative, il bimbo o meglio la mamma dovrebbero andare dallo psicologo, che può aiutarli a cambiare.

La mamma è sconvolta. “Lo psicologo? Ma perché sta facendo delle birichinate?”.
 
Affranta e avvilita è andata alla ricerca di un consiglio dalla maestra Anna, sperando, parlandone, di capire meglio perché si ritrova in questa situazione.
 
“Quello che non capisco è come mai hanno dato una punizione così lunga, il timer deve durare cinque minuti!”.
 
La maestra Anna è sorpresa: “timer, quale timer?”. 

“Eh sì, c’è anche un altro bimbo nella classe che è stato mandato dallo psicologo, il quale ha consigliato di usare un timer per le punizioni, altrimenti non ricordando più chi era in punizione e chi no, i bambini andavano in giro per la classe… Il problema è stato che quando i bambini hanno visto il primo bambino con il timer, l’hanno voluto anche loro: quindi ora ognuno ha il suo timer per la punizione!”.
 
Il volto di Anna è tra lo stupefatto e la tristezza profonda. Immagina la classe, di ventinove bambini, ognuno con il suo timer per riuscire a svolgere efficacemente la punizione e paradosso dei paradossi, contento di farla per poter disporre del timer.
 
Anna mi dice : “ma come è possibile che siamo arrivati a questo?”.
 
Inutile dire che non è tutta responsabilità delle insegnanti. Quando sei da sola, con pochissima compresenza, con ventinove bambini, i tuoi ideali educativi sono messi a dura prova e possono spesso soccombere. La cornice di riferimento dice alle insegnanti che è possibile che le loro classi abbiano sempre più allievi dentro lo stesso spazio: nessuno sembra preoccupato delle difficoltà che ne possono scaturire. Eppure il rapporto numerico non è l’unico indice, ma può fare sicuramente la differenza nella qualità del modo di lavorare.
 
Ho contato, nella foto di quando ero bambina, nella mia scuola “materna” gestita da religiose,  circa trenta bambini. I problemi di disciplina erano affrontati molto più severamente (quanto tempo passato nell’angolino della sezione!) ed i pomeriggi si trascorrevano poggiati con la testa e il busto sui banchi facendo il sonnellino, o stando zitti, anche se non avevamo sonno.
 
Il concetto di “obbedienza” veniva veicolato molto chiaramente. Concetto condiviso, anche se forse si capivano o intuivano poco le conseguenze che avrebbe potuto avere poi sulla struttura sociale del futuro. Nulla sicuramente a che vedere con l’autodisciplina proposta da Maria Montessori.
 
Siamo rimasti o siamo tornati di nuovo lì?

Non posso non pensare alle parole di Myrtha Chokler nel suo articolo “Intervento precoce nella prevenzione della sindrome di iperattività e dei disturbi attenzionali”:
 
Quale uomo e quale bambino vogliamo aiutare a crescere e ad essere? Un soggetto autonomo, libero, con fiducia in se stesso e solidale? O un essere sottomesso, dipendente dal riconoscimento permanente dell’altro, il cui interesse per il mondo circondante è legato soltanto a conquistare soltanto premi o evitare le punizioni, un essere stimolato alla rivalità –“vediamo chi vince?”-  un essere che deve ad ogni momento fare un esame per essere accettato –“vediamo se sei capace di…”?.  Se invece si sta dalla  parte del soggetto autonomo, libero, che si sente e si vive come soggetto e non come assoggettato, allora qual è il ruolo dell’adulto, della società, dei professionisti per tutelare il rispetto per la persona e il suo diritto ad essere riconosciuta come chi è, proprio così com’è, al di là delle differenze, degli svantaggi o della disabilità?. Abbiamo imparato a riconoscere il bambino essenzialmente come un soggetto di azione e non soltanto di reazione ad ogni istante e luogo, per cui le idee della Pikler e la sua pratica, le sue concezioni sull’autonomia e la sicurezza affettiva dimostrate in bambini fisicamente sani, ci confrontano con la sfida di dimostrare che questi postulati fondamentali sono completamente pertinenti ed efficaci per tutti i bambini, inclusi coloro che soffrono di una considerabile disabilità vissuta ed espressa ad ogni istante nel suo livello. ( http://www.ifra.it/prima-infanzia.php)

Dove è finito questo tipo di pensiero?

La maestra Anna, che insegna in una scuola primaria mi dice: 

“Lo so che è difficile, ma i bambini mi dimostrano che basta veramente poco per raggiungerli. Negli ultimi anni, ad esempio, un pomeriggio alla settimana, realizzo in classe il laboratorio delle emozioni. I  bambini possono scrivere qualcosa che li ha fatti stare male o bene, in classe o fuori, e se firmano il biglietto vuol dire che ne vogliono parlare direttamente con la classe.  Ebbene una mamma mi ha detto che hanno dovuto rimandare assolutamente l’appuntamento che avevano con il dentista perché sua figlia non poteva mancare al laboratorio delle emozioni. All’inizio qualche genitore era scettico e mi ha detto  ma lei vuole sapere i fatti di casa nostra. Non ci sta molto bene. Allora ho dovuto spiegare loro meglio quale era la finalità. Dei fatti in sé non mi interessava niente. Ma delle emozioni che stavano vivendo i bambini sì. Perché se i bambini sono bloccati o presi dalle loro emozioni tutto quello che io insegno non passa…. . Tra l’altro io quel pomeriggio faccio italiano, anche se in un altro modo…”. 

E’ vero. Stiamo cercando di fare finta che il corpo e la mente siano due entità scisse. Il nervo vago che collega il cervello della testa a quello addominale è per i più, un perfetto sconosciuto.

I bambini sono diventati dei contenitori vuoti da riempire (la vecchia tabula rasa ahimè) e non individui da conoscere e con i quali costruire assieme il sapere.
 
E’ l’epoca di internet, inglese, impresa. Verifiche, test, prove.  Tutto, apparentemente, sotto controllo  Nulla di male in effetti, anzi, le nuove tecnologie possono essere uno strumento in grado di velocizzare le comunicazioni, di metterci in rete, ecc., ecc..
 
Ma il problema nasce nel momento in cui la scuola si riduce solo a questo.
 
Infatti i nostri stati d’animo, le nostre motivazioni, le nostre molteplici intelligenze non vogliono essere addestrate ma educate. E’ una differenza decisiva.
 
Altrimenti le emozioni non ci stanno ed escono piano piano, come il vapore da una pentola a pressione… Così ad esempio il figlio dell’amica della maestra Anna, quando le insegnanti dicono “state tutti zitti, mentre leggiamo non si parla”, lui tace, ma comincia piano piano, poi un po’ più forte a muovere il piede in terra, e le maestre si indispettiscono, le tensioni crescono, ed escono fuori di nuovo i timer.
 
Ricordo ancora il mio Professore di inglese in prima media. Era la prima volta che sentivamo parlare in inglese. Abitavo in un piccolo paese della provincia del centro Italia.
 
L’Italia era molto diversa allora.  I bambini disponevano di meno nozioni e di tanto cortili.
 
Ricordo come fosse ieri, il momento in cui entrò in classe: un signore alto, pelato, bruttino forse, ma bello ai nostri occhi grazie ad un sorriso che arrivava da un orecchio all’altro.
 
Non disse una parola in italiano.
 
Iniziò a parlare in inglese e continuò per circa quindici-venti minuti senza mai fermarsi.
 
All’inizio stupore, poi sorrisi, poi risate convulse di tutta la classe. Il Professore continuava a parlare in inglese e a ridere anche lui, guardandoci, esprimendo nel suo sguardo la voglia di stare con noi.
 
Ecco perché mi è sempre piaciuto l’inglese.
 
Nonostante molti altri insegnanti mi abbiano poi tolto molte sicurezze e abbiano reso la lingua straniera un insieme di regole sterili, noiose e difficili.
 
Non posso dimenticare quel primo giorno e quelle risate.

Silvia.

lunedì 1 aprile 2013

2073: Cronache dal futuro


Letto ieri, 18 agosto 2073, in un quotidiano nazionale di grande tiratura....

<<Anche oggi, 18 agosto,  l'ennesima giornata torrida sul Nord Italia. Da più di un mese in molte città del Nord Italia il termometro è abbondantemente sopra i 40 gradi, con gravi disagi ai cittadini causati dal gran caldo, che, unito all'elevata umidità dell'aria, produce un elevatissimo stato di disagio bioclimatico alle persone. Non si contano i black-out elettrici a causa dell’eccessiva richiesta di energia elettrica per rinfrescare le case. L’acqua scarseggia, in molte città è razionata e disponibile solo poche ore al giorno. Purtroppo si sono verificati tanti decessi anche nell’ultima settimana, soprattutto tra le persone anziane. Gli ospedali hanno gravi difficoltà a soccorrere il gran numero di cittadini che chiedono assistenza per far fronte ai danni del gran caldo. I servizi sociali sono al collasso. Non piove più da 4 mesi, fatta eccezione di quella eccezionale tempesta "quasi tropicale" di pochissime ore che si è abbattuta 15 giorni fa in Liguria e in parte della Toscana e dell'Emilia dove sono caduti più di 400 mm di pioggia in 3 ore e che ha causato tantissimi allagamenti e frane e danni per milioni e milioni di euro. 
La cosa incredibile, ma che in verità tanto incredibile non è visto che è diventata la norma negli ultimi 20 anni, è che nel mese di marzo abbiamo avuto un gran freddo, con giorni e giorni freddi e temperature minime prossime allo zero. E pioggia, tanta pioggia, e quindi frane, alluvioni...E poi, all'improvviso, un' improvvisa impennata delle temperature, la primavera che dura una settimana, fino ad arrivare ai 40 gradi di questa estate. Di questa nuova estate torrida.>>

Il clima di oggi non è più quello dei nostri nonni e bisnonni, e le modifiche non sono state causate da cause naturali ma, al contrario, è stata colpa dell'incredibile aumento dei gas a effetto serra, generati dalle sue attività. Oggi siamo arrivati a valori di concentrazione di CO2 in atmosfera dell'ordine di...

Tutto questo era stato previsto tanti anni fa. Ad esempio dal IV report dell'IPCC.

La "Politica" del mondo non è stata capace di contrastare l'aumento delle emissioni con adeguate azioni di mitigazione. Per di più, se la nostra società attuale è oggi così vulnerabile di fronte a questi eventi meteorologici, ciò è dovuto alla mancata realizzazione di azioni di adattamento efficaci.

Perchè agire per "mitigare" le emissioni di gas serra avrebbe voluto dire contrastare la "crescita". E, d'altro canto, l'attuazione di piani di adattamento avrebbe voluto dire investire parecchi soldi che si diceva non ci fossero. O forse semplicemente non si volevano mettere per queste cose.

Che il clima stesse cambiando, era noto, all'inizio del secolo. I segnali c'erano tutti, a partire dall’inizio degli anni ’80 del secolo XXmo, la temperatura era letteralmente “decollata”, ad esempio nel Nord Italia, con dei trend di crescita di 3-4 volte superiori a quelli che si registravano a scala globale (dell’ordine di quasi un grado in 100 anni, dall’inizio del ‘900 sino all’inizio del 2000). Questa impennata interessava tutto il bacino del Mediterrano, che veniva già giustamente considerato un "hot spot". Si parlava, in quegli anni, dei rischi di desertificazione dei suoli, di aumento degli episodi siccitosi, degli incendi, dei gravi impatti sulla disponibilità di acqua, degli aumentati pericoli per la salute causate dalle più frequenti “onde di calore” durante i mesi estivi. Per non parlare degli scenari climatici futuri che già all'inizio del secolo erano abbastanza concordi nel prevedere per l'area del Mediterraneo un clima futuro ancora più caldo e secco. Con tutti gli impatti negativi del caso...

E poi non c’era solo il clima…I rischi ambientali erano cresciuti a dismisura anche perché la vulnerabilità e l’esposizione dei territori al rischio erano cresciuti in modo esponenziale. Ettari ed ettari di territorio erano stati rubati alla Natura, le città si sono lasciate espandere senza limite. Gli uomini hanno continuato a modificare il corso dei fiumi, sotterrando sotto metri cubi di cemento il deflusso delle acque o deviando gli alvei naturali, hanno costruito arginature artificiali sempre meno controllate per via dei soldi sempre calanti, hanno costruito case, capannoni, aziende, case e ancora case in luoghi dove non si sarebbe dovuto costruire....

La Natura sempre più spesso si ribellava per riprendersi i territori che le erano stati "rubati". Gli impianti fognari delle città non tenevano più, i canali di bonifica si allagavano, chilometri e chilometri quadrati di territorio erano allagati sempre più frequentemente.
E quando non c'erano le alluvioni e le frane, arrivava la siccità. E poi il gran caldo estivo, come quello di oggi, e il clima praticamente “tropicale” che si era creato aveva già iniziato a far scatenare le prime epidemie sanitarie. Erano comparse anche in Italia, e già agli inizi del secolo XXI, le malattie “africane producendo un numero crescente di decessi, soprattutto tra le classi sociali più deboli che non potevano permettersi cure costose.

L'eccessivo caldo stava già diminuendo la disponibilità di acqua.

Già quarant'anni fa, attorno al 2020, si sono viste le prime avvisaglie di quelle che dopo sarebbero state vere e proprie "guerre per l'acqua", come ricorderanno i nostri lettori più anziani..

E poi, la popolazione del mondo cresceva. In modo diseguale. Le città erano diventate delle megalopoli con più di 30 milioni di abitanti. La grande maggioranza dei quali viveva in quartieri poverissimi, praticamente delle baraccopoli. E pochissimi ricchi invece vivevano in quartieri residenziali, la sicurezza dei quali era garantita da interi plotoni di guardie armate.
Sempre più poveri morivano di fame e di malattie indotte dal caldo, dalle malattie, dalle alluvioni, dalla siccità, dall'acqua poco potabile.

Nulla fu fatto per arrivare al collasso. Nulla.

E il collasso, arrivò. I primi sintomi 10 anni fa.
E poi, il tracollo.

Collasso totale: ambientale, economico, indotto dalla crisi climatica e ambientale, da quella demografica, da quella economica, agro-alimentare. Così come era stato predetto già nella seconda metà del secolo XX, un secolo fa, dal famoso "Club di Roma” in un lavoro che si chiamava: I limiti dello sviluppo. Vale la pena ricordare adesso le conclusioni di quel rapporto:  

1. Se l'attuale tasso di crescita della popolazione, dell'industrializzazione, dell'inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo su questo pianeta saranno raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità industriale.

2. E’ possibile modificare i tassi di sviluppo e giungere ad una condizione di stabilità ecologica ed economica, sostenibile anche nel lontano futuro. Lo stato di equilibrio globale dovrebbe essere progettato in modo che le necessità di ciascuna persona sulla terra siano soddisfatte, e ciascuno abbia uguali opportunità di realizzare il proprio potenziale umano.

Ma il punto 2 non fu mai attuato...

Carlo