In informatica il buffer overflow è una vulnerabilità di sicurezza che può affliggere un programma software. Consiste nel fatto che tale programma non controlla in anticipo la lunghezza dei dati in arrivo, ma si limita a scrivere il loro valore in un buffer di lunghezza prestabilita, confidando che l'utente (o il mittente) non immetta più dati di quanti esso ne possa contenere.
( da Wikipedia )
Ogni tanto mi viene in mente Beatrice (Bea), una ragazzina
schizofrenica, cieca, che aveva
trascorso parte della sua infanzia-giovinezza in un manicomio (ce li ricordiamo
ancora ?).
Bea, ogni volta che era eccessivamente stimolata, si innervosiva, iniziava ad avere paura e ansia ed entrava in un circolo
vizioso.
Cominciava a dire che era rotta, brutta, in maniera sempre
più agitata e si metteva le dita negli occhi. Bisognava bloccarla con la forza
fisica, per evitare che si facesse del male da sola, inibendo quello che i
comportamentisti definiscono un comportamento-problema.
Ma qual è veramente il comportamento-problema ?
Forse per Bea faceva meno male ficcarsi il dito in un occhio che essere ancora sollecitata con altri stimoli.
Ma come?
Oggi sembra un’eresia pensare che possiamo essere troppo stimolati.
Viviamo in un contesto super sollecitante.
Si è creato quasi il binomio stimolo=benessere.
Non so perché ma io spesso mi sento come Bea: mi sembra che
le sollecitazioni alle quali siamo ogni giorno sottoposti siano troppe.
Non fai in tempo a scaricare la posta elettronica e a
leggere le comunicazioni vere tra la valanga di pubblicità che ti sommerge, che
al nuovo invia-e-ricevi ecco di nuovo qualcuno che ha qualcosa da dirti.
Per andare al lavoro, ci troviamo spesso imbottigliati nel
traffico, in tangenziale e in autostrada: rumori e smog permeano i nostri sensi.
Ci sentiamo tramortiti da un contesto superurbanizzato.
Ognuno di noi ha spesso due cellulari o il cellulare con la
doppia sim… doppio canale di entrata per gestire i flussi di telefonate che ci
devono arrivare dall’esterno, da casa e dal lavoro.
E’ necessario iscriversi a corsi di inglese, informatica,
cucina, arti marziali, per tenersi in forma, conoscere, spaziare con la mente.
Così come dobbiamo andare alle riunioni scolastiche dei
nostri figli, portarli a fare sport, a musica, inglese, scacchi, hip-hop, teatro....
Arrivano messaggi su twitter, whatsapp… bisogna aggiornare
il proprio profilo su facebook e pubblicare le foto su
instagram….
In mezzo a tutto questo c’è la corsa nei
super-iper-mercati per approvvigionarsi di viveri, vestiario, oggetti di
varia natura con relativa fila ai banchi, alle casse, al parcheggio…
Recentemente ad una riunione di rappresentanti della scuola
di mio figlio, una mamma condivideva il seguente problema. L’equazione era un
po’ questa:
dato che la scuola
chiede un contributo a tutti i genitori per le attività integrative, ma non tutti i genitori versano il contributo e
qualcuno non dà neanche quello obbligatorio, noi come classe interamente pagante, abbiamo diritto di fare comunque le attività integrative che ci interessano.
Se proprio i soldi non
bastano, siamo disposti a pagare di più pur di fare le attività.
Mi è sembrato il segno evidente che il
sistema famiglia-scuola non fosse più in grado di gestire il suo BUFFER ed esprimesse l’ennesima richiesta di ulteriori stimolazioni.
Per certi aspetti è una richiesta completamente corretta nella
logica che citavo prima e - tutto sommato - anche generosa: non importa che con i miei soldi ho
compensato la mancanza di chi non paga e forse anche l’assenza di controlli da parte
della scuola, ma adesso per
favore fateci pagare ancora e dateci questi benedetti stimoli !!!
Quella mamma forse non voleva dire questo!!
Eppure il
discorso mi stonava , come se volessimo a tutti i costi costruire un individuo
iperstimolato, ma all’interno di un contesto privato del senso di cosa
significa essere un gruppo sociale, alla ricerca del benessere del gruppo con i suoi diritti e doveri.
Dov’è finita la dimensione dell’intimità che consente di
costruire se stessi e quella della forza/coesione sociale che deriva dall’avere un’idea di bene comune da costruire assieme
?
Forse dobbiamo iniziare a svuotare il BUFFER INDIVIDUALE e iniziare a riempire di nuovo pensiero il BUFFER SOCIALE ?
Silvia.
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