L’Articolo 81 della Costituzione della Repubblica Italiana,
fino al 18 aprile 2012, recitava:
<<
Le camere
approvano ogni anno i bilanci ed il rendiconto consuntivo presentati dal
governo.
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere
concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente quattro
mesi. Con la
legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e
nuove spese.
Ogni altra legge che importi nuove o
maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.
>>
Il 18 aprile il Senato approva,
in seconda lettura, il ddl costituzionale di riforma dell'art. 81, che
introduce il pareggio di bilancio in
Costituzione, raggiungendo col voto unanime di Pd, PdL e Terzo Polo, il
quorum di 214 voti su 321 aventi diritto
necessario ad evitare il referendum popolare confermativo.
Questo è il nuovo testo
dell’Articolo 81:
<<
Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e
le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi
favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di
considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle
Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi
eccezionali.
Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede
ai mezzi per farvi fronte.
Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e
il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere
concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a
quattro mesi.
Il contenuto della legge di
bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio
tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del
complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei
principî definiti con legge costituzionale.
>>
La nuova formulazione dell'Articolo
81 impone, di fatto, il seguente vincolo matematico al Bilancio dello Stato:
( Entrate – SpesaCorrente ) – Interessi – Investimenti = 0
Dove l'ordine degli elementi non
è casuale e rispecchia le nuove "priorità" della politica
economica nazionale, che non sono più negoziabili
e vengono, di fatto, sottratte alla volontà del potere politico che è, o dovrebbe essere, espressione della
volontà popolare.
In maniera molto “divulgativa”
(ma utile per capire) possiamo riassumere la cosa nei seguenti termini:
Lo Stato applica una certa Pressione Fiscale sulle famiglie e
sulle imprese e quindi ottiene, ogni
anno, un certo ammontare di Entrate
(fiscali).
Con queste risorse finanziarie
deve:
1) Prima di tutto coprire la Spesa Corrente (cioè deve far
funzionare la macchina dello Stato).
poi, con quello che avanza (non a caso questa differenza si
chiama “avanzo primario”) deve
2) Pagare gli Interessi sul debito pubblico (deve,
cioè, onorare il servizio del debito)
poi, con quello che avanza (se
avanza) può
3) Effettuare Investimenti (costruire nuove scuole,
nuovi ospedali, nuove strade, nuove reti informatiche, nuove infrastrutture
pubbliche in generale)
Cioè lo Stato può investire solo se
ha i soldi in cassa e non può più fare deficit per finanziare nuovi
investimenti a debito.
E’ un po’ come dire ad una
famiglia che può comprarsi la casa solo se ha già tutti i soldi cash nel conto
corrente perché , per legge, è diventato illegale stipulare un contratto di
mutuo con una banca.
Il pagamento degli interessi sul
debito ha, quindi, maggiore priorità rispetto agli Investimenti: prima si pagano gli interessi e poi, se
rimangono dei soldi in cassa, si investe.
Vista la situazione attuale
dei nostri conti pubblici dove l’avanzo primario (entrate meno spesa corrente) – pur positivo !! – non è sufficiente a coprire l’onere degli
interessi (che sono una montagna di soldi perché lo stock di debito è molto elevato
e i tassi di interesse sono da usura) il
nuovo Articolo 81 produce automaticamente l’impossibilità di spendere a
deficit né per la spesa corrente (che sarebbe anche giusto) né per gli
investimenti (che è molto meno giusto dal momento che gli investimenti servono
proprio stimolare la crescita e quindi rendere più sostenibile lo stesso debito
sul lungo periodo creando le premessa per una sua progressiva riduzione).
Nei prossimi anni (forse nei
prossimi decenni) l'Italia sarà dunque "costretta" (dalla sua stessa
Costituzione !!) a promulgare manovre
finanziarie molto dolorose per massimizzare le entrate fiscali e minimizzare la
spesa corrente in modo da espandere al massimo l’avanzo primario e coprire con
queste risorse tutta la spesa per gli interessi onorando i suoi impegni verso
il “mercato”.
Il nuovo Articolo 81 è, insomma, una sorta
di “gabbia” per la politica economica nazionale e, allo stesso tempo, una significativa e robusta
garanzia di lungo periodo per i nostri creditori cioè per i detentori dei
titoli di stato (i grandi fondi speculativi, le grandi banche d’affari) molti dei quali, recentemente, hanno ricevuto
in prestito un trilione di euro
dalla BCE al vantaggiosissimo tasso del 1%
(operazione LTRO) e con quei soldi
si sono messi a fare il giochino del “carry trade”
acquistando i nostri titoli di debito che, grazie alla speculazione sullo
spread, sono schizzati a tassi di interesse del 5 o 6 o 7 %, amplificando i rendimenti grazie alla leva finanziaria (vedi: http://piazzaverdi.blogspot.it/2012/01/mutuo-soccorso-tra-banche.html
e anche http://piazzaverdi.blogspot.it/2011/12/lequazione-fondamentale-della.html
).
Se il “mercato” è contento
(perché lo Stato italiano è diventato un “buon” pagatore di lucrosi interessi)
i cittadini italiani lo sono molto meno, avviati, come sono, sul lungo e
tortuoso cammino della austerità e del rigore di bilancio senza nessuna “terra
promessa” da raggiungere ma solo con la (non dimostrabile) consolazione aver
scampato il tanto terribile quanto improbabile default.
E poi vale anche questa ulteriore
considerazione: se lo Stato non può più investire a debito, chi farà gli
investimenti di cui abbiamo bisogno per avviare la tanto “sbandierata” crescita
?
Se la “crescita” è davvero l’unica
ricetta per uscire dalla crisi (come sostengono ogni giorno tutti i guru dell’economia ortodossa di destra e
di sinistra) con quali investimenti si può far partire un nuovo ciclo di
crescita se lo Stato Nazionale non può più esercitare questo importante ruolo
di “stimolo” ?
Gli Stati Nazionali europei hanno
perso prima la Sovranità Monetaria cedendola alla BCE che tuttavia non può esercitare il ruolo di Prestatore di
Ultima Istanza (i soldi può darli alle banche al 1% ma NON agli Stati !) e
adesso stanno perdendo anche la Sovranità
sulla Politica Economica dovendo sottostare ad un artificioso e ambiguo
“patto di stabilità” che impedisce, di fatto, qualsiasi possibilità di guidare
il ciclo economico attraverso i grandi investimenti pubblici come è sempre avvenuto, in passato,
per uscire dalle crisi (quando non è scoppiata la guerra).
L’Articolo 81, infine, impone agli
Stati di uscire velocemente dai tanti settori dell’economia reale in cui sono impegnati
per fare spazio ai grandi capitali privati i quali, una volta entrati, faranno le
LORO politiche economiche con le LORO priorità e con l’unico criterio di
massimizzare il LORO profitto non dovendo sottostare a nessun controllo
democratico ma solo alle inflessibili leggi del “mercato” (e le virgolette non
sono affatto causali).
Tutto questo, a me, suona un po’
inquietante e sento il bisogno di capire di più, di capire meglio.
Per capire dobbiamo alzare lo
sguardo e abbracciare almeno il contesto Europeo e, in particolare, ragionare
sui recenti indirizzi di politica economica e finanziaria del continente di cui
la nostra recente revisione dell’Articolo 81 non è altro che una semplice e
meccanica applicazione.
Dobbiamo capire, ad esempio, che
cos’è il Fiscal Compact e lo facciamo chiedendo aiuto a Wikipedia e alla
rete:
Esso contiene una serie di
regole, chiamate «regole d'oro», che sono vincolanti nell'UE per il principio
dell'equilibrio di bilancio. Tutti gli stati membri dell'Unione europea hanno
firmato il trattato il 2 marzo 2012 ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica
Ceca. Il trattato entrerà in vigore il 1º
gennaio 2013 se in quel momento almeno dodici membri della zona euro
l'avranno ratificato.
I principali punti contenuti nei
16 articoli del trattato sono:
- l'impegno ad avere un deficit strutturale che non deve superare lo 0,5% del PIL e, per i paesi il cui debito è inferiore al 60% del PIL, l'1%;
- ogni stato deve garantire le correzioni automatiche quando non raggiunga gli obiettivi di bilancio concordati ed è obbligato ad agire con scadenze determinate;
- le nuove regole devono essere inserite preferibilmente in norme di tipo costituzionale o comunque nella legislazione nazionale;
- la Corte europea di giustizia verificherà che i paesi che hanno adottato il trattato l'abbiano trasposto nella legislazione nazionale;
- il deficit pubblico, come previsto dal Patto di stabilità e crescita, dovrà essere mantenuto sempre al di sotto del 3% del PIL; in caso contrario scatteranno sanzioni semi-automatiche;
- ci saranno almeno due vertici all'anno dei 17 leader dei paesi che adottano l'euro;
- il trattato intergovernativo entrerà in vigore quando sarà stato ratificato da almeno 12 dei paesi interessati.
Non tutti gli economisti
(soprattutto quelli di scuola keynesiana) concordano sui vincoli imposti dal
Fiscal compact.
I premi Nobel Kenneth Arrow,
Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow, in un appello rivolto
al presidente Obama, hanno affermato che «Inserire nella costituzione il
vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente
improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, quale un tetto rigido della spesa
pubblica, non farebbe che peggiorare le cose»; soprattutto «avrebbe effetti
perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà diminuisce il gettito
fiscale e aumentano alcune spese tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi
ammortizzatori sociali fanno aumentare il deficit, ma limitano la contrazione
del reddito disponibile e del potere di acquisto». Nell'attuale fase
dell'economia «è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo
rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale
necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa già di per
sé debole». Nell'appello si afferma che «anche nei periodi di espansione
dell'economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita
economica, perché gli incrementi degli investimenti a elevata remunerazione -
anche quelli interamente finanziati dall'aumento del gettito - sarebbero
ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di
pari importo. Un tetto vincolante di spesa», poi, «comporterebbe la necessità,
in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di
tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi
non di emergenza».
Critico anche l'economista e
premio Nobel Paul Krugman, il quale ritiene che l'inserimento in costituzione
del vincolo di pareggio del bilancio, possa portare alla dissoluzione dello
stato sociale.
Un'altra “creatura” mitologia
partorita dalla fervida immaginazione creatrice della nuova direzione
economico/finanziaria dell’Europa è l’ E.S.M.
o European
Stability Mechanism:
L’ESM è un “meccanismo”, appunto, una sorta di “carrucola
finanziaria”, che consente di drenare rapidamente liquidità dagli stati
nazionali nel momento in cui uno degli stati membri si trovi nella
necessità di accedere a finanziamenti che il mercato non è più disposto ad
erogare. L’ ESM è, di fatto, un prestatore di ultima istanza con l’unica
differenza che non è una banca centrale e quindi non può creare moneta dal
nulla come può fare la BCE, ma può solo “drenare” risorse da tutto il sistema
per convogliarle verso la Nazione in difficoltà e con meccanismi automatici,
appunto.
L’ESM è una sorta di “FMI europeo”, insomma. E i paesi che
richiedono l’intervento del ESM possono ottenere questi finanziamenti solo se
hanno aderito al Fiscal Compact
(altro punto di collegamento) e solo se sottoscrivono un ferreo impegno a
praticare una rigidissima e severissima politica economica dettata dall’ESM per
conto dei paesi creditori.
Il collegamento tra Fiscal Compact e ESM è molto stretto
perché i due trattati sono complementari e si bilanciano a vicenda, come due
piatti di una bilancia in perfetto equilibrio.
Il Fiscal Compact fissa i vincoli
della politica di bilancio di ciascun paese (e quindi, indirettamente, della
politica fiscale) mentre l’ESM agisce come una sorta di “deus ex machina” per “salvare”
paesi che non ce la fanno a rispettare i patti e si avvitano nella spirale
del debito fino al punto in cui devono necessariamente ricorrere ad un
prestatore di ultima istanza (l’ESM, appunto) che, a quel punto, ha il potere sovrano
di imporre qualsiasi politica di risanamento al malcapitato paese scavalcando –
di fatto – la sovranità popolare.
Tutto questo è un Piano diabolico
ordito alle spalle della popolazione europea ?
Non lo so. Dico solo che dopo
aver, di fatto, “ratificato” il Fiscal Compact attraverso la riformulazione dell'Articolo 81, con una maggioranza bulgara e
bi-partisan e senza interpellare la volontà popolare attraverso il referendum,
il nostro “parlamento” si accinge ora a ratificare anche il trattato dell’ESM.
Per aderire al ESM, l’Italia deve
contribuire, complessivamente, per 125 MLD di euro. Nel 2012, da luglio a
ottobre, deve versare 5,7 MLD di euro. Dove prenderemo questi soldi ?
Semplice: emettendo nuovi titoli di debito, non previsti dal piano annuale
delle emissioni e, quindi, andando in deroga al patto di stabilità e, forse, anche all'Articolo 81.
Siamo ancora in tempo per
muovere, dal basso, una energica campagna di informazione e pretendere che sia
il Popolo sovrano a decidere se aderire o meno a questo trattato dai contorni
molto opachi.
---
Dal testo del DDL n.3240 (ratifica del MES):
<<
La
disposizione autorizza la contribuzione italiana finalizzata alla
sottoscrizione
del
capitale per la partecipazione del Meccanismo europeo di stabilità
(MES), in attuazione del Trattato istitutivo. La predetta partecipazione è
articolata in un apporto iniziale, suddiviso in 5 rate, ciascuna delle quali
quantificabile, per l’Italia, in circa in 2,866 miliardi di euro,
e in ulteriori apporti
a chiamata. Le prime due rate,
vista la decisione dei Capi di Stato e
di governo dell’Area euro di anticipare al 1º luglio 2012 l’entrata in
vigore del Trattato e l’istituzione del MES, dovranno essere versate entro il
2012. Il versamento della prima, in particolare, e` previsto entro il prossimo
mese di luglio, mentre la seconda può essere
immaginata intorno a settembre-ottobre prossimi. Le risorse necessarie alle quote di contribuzione sono assicurate dal netto ricavo
derivante da emissioni di titoli diStato a medio-lungo termine, aggiuntive
rispetto a quelle previste nei documenti di finanza pubblica per il triennio
2012-2014. Di conseguenza, tali importi non sono computati nel
limite massimo di emissione di titoli di Stato stabilito dalla legge di
approvazione del bilancio e nel livello massimo del ricorso al mercato stabilito
dalla legge di stabilità. L’emissione dei
titoli determina l’esigenza di fronteggiare un maggior fabbisogno in
termini di interessi (valutabile per il 2012 prudenzialmente in circa 120 milioni
di euro) che potrà essere assorbito dagli attuali stanziamenti a legislazione vigente,
tenuto conto del trend dei tassi di interesse. Infatti, il miglioramento
dei tassi delle emissioni collocate dall’inizio dell’anno ha già
prodotto una riduzione della spesa per interessi (rispetto alle stime ufficiali di
inizio dicembre 2011) di oltre 800 milioni di euro in termini di competenza
economica SEC e di circa 2 miliardi di euro in termini di
cassa
(fabbisogno del settore statale).
Al fine
di garantire una sollecita partecipazione al capitale del MES, può
essere autorizzato il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, la cui
regolarizzazione potrà
effettuarsi con l’emissione di ordini di pagamento sul pertinente
capitolo di spesa.
>>
Sandro